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Recensione Thronebreaker: The Witcher Tales 2018-11-21T18:18:58+01:00
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    Recensione Thronebreaker: The Witcher Tales

Se pensiamo agli RPG più significativi e influenti degli ultimi anni, uno dei primi nomi a saltarci alla mente è senza dubbio quello di The Witcher. La trilogia di CD Projekt RED, a tutti gli effetti sequel della saga letteraria di Andrzej Sapkowski, è diventata una pietra miliare del genere grazie soprattutto al suo mastodontico terzo capitolo, ormai punto di riferimento tanto per i giocatori quanto per gli sviluppatori. E anche se le avventure di Geralt sono giunte alla fine, CD Projekt non ha abbandonato il brand: in attesa di un possibile futuro spin-off, è stato lanciato Gwent: The Witcher Card Game, titolo standalone e multiplayer dedicato all’apprezzatissimo gioco di carte presente all’interno di The Witcher 3: Wild Hunt.

Thronebreaker: The Witcher Tales si è annunciato inizialmente come la campagna singleplayer di Gwent, ma con il procedere dello sviluppo è diventato molto di più: un gioco completamente standalone che mescola elementi di visual novel, avventura testuale, RPG e, ovviamente, gioco di carte.

La regina Meve è la protagonista indiscussa del gioco.

Il ritorno della regina

Thronebreaker ci mette nei panni di Meve, regina di Lyria e Rivia, impegnata nella seconda guerra contro Nilfgaard, diversi anni prima che i tre The Witcher abbiano luogo. La storia si incastra perfettamente tra gli eventi narrati nei libri: inizia dopo l’incontro di Meve con gli altri sovrani del Nord e si conclude prima della firma della Pace di Cintra. Di ritorno dal summit, dopo aver lasciato il regno nelle mani dell’inesperto figlio Villem, la regina si troverà presto invischiata in un conflitto ambivalente, che da un lato è una guerriglia sul campo e dall’altro un altrettanto letale gioco politico. Ancora una volta, CD Projekt dimostra la sua maestria nel caratterizzare i personaggi:

Meve è una protagonista affascinante che non faticherà a conquistarvi, una regina giusta e dotata di un forte senso del dovere, ma capace di vendette feroci.

Il gioco è diviso in cinque atti, a ognuno dei quali corrisponde una mappa (Lyria, Aedirn, Mahakam, Angren e Rivia). Le attività da svolgere si possono ricondurre a tre categorie: quest e dialoghi, esplorazione e partite di gwent. Nelle fasi esplorative possiamo muovere direttamente Meve in visuale isometrica e andare a raccogliere risorse, scoprire i punti di interesse e affrontare gli scontri. Le sequenze narrative sono raccontate tramite testi interamente doppiati, secondo uno stile che sta a metà tra l’RPG old school e l’avventura testuale, ma nei dialoghi più significativi ci si ritrova a interagire direttamente con i personaggi secondo uno schema tipico delle visual novel. Per i momenti più importanti della trama, infine, si passa a video costruiti come un fumetto, in cui i pannelli vanno ad assemblarsi per formare la scena completa.

La qualità narrativa resta alta per tutta la durata del gioco, offrendo spesso situazioni moralmente grigie in perfetto accordo con lo spirito di The Witcher, ma il racconto risulta un po’ troppo dispersivo. Tra un evento della storia e l’altro, infatti, è sempre necessario attraversare vaste porzioni di mappa, costellate da missioni secondarie, battaglie, puzzle, villaggi e risorse da recuperare: una scelta di design che spezza inevitabilmente il ritmo della narrazione.

I villaggi sono ricchi di risorse, punti di interesse e personaggi con cui interagire.

Nel corso della storia, Meve entrerà in contatto con diversi personaggi (alcuni dei quali sono vecchie conoscenze di giocatori e lettori) e, a seconda delle sue scelte, potrà reclutarli nel suo esercito. Proprio le scelte hanno un peso notevole sulla narrazione, molto più di quanto fosse ragionevole aspettarsi da quello che – almeno a una prima occhiata – sembra la costola di un gioco di carte. Le missioni secondarie, disseminate sulla mappa, conducono inevitabilmente a una o più scelte, che contribuiscono a plasmare il carattere di Meve e vanno a influire sull’epilogo.

Alcune conseguenze sono immediate, ma molte si rivelano essere a lungo termine e non di rado la scelta che sembrava giusta sul momento finisce per portare a esiti tutt’altro che idilliaci.

A rendere il tutto ancora più stressante è l’assenza di salvataggio libero vero e proprio. Si può salvare in qualsiasi momento (combattimenti esclusi) ma solo uscendo dal gioco, e ogni salvataggio si sovrascrive sul precedente: si può ricaricare soltanto dall’inizio della mappa.

Le decisioni di Meve hanno anche ripercussioni dirette sul suo esercito: sollevano o abbassano il morale delle truppe (feature che va a riflettersi sulla forza delle carte in battaglia) e influenzano il rapporto della regina con i personaggi reclutati. Determinate azioni possono perfino causare l’abbandono dell’esercito da parte di un personaggio, che comporta naturalmente la perdita della carta corrispondente. Non neghiamo che, arrivati all’epilogo, i nostri ranghi si erano decisamente assottigliati.

Il gioco ci avvisa dall’inizio: le nostre scelte avranno delle conseguenze.

How about a round of gwent?

L’iconica frase di Geralt sembra essere l’idea di base del Gwent standalone. In Thronebreaker, però, le partite di gwent sono a tutti gli effetti battaglie campali che oppongono l’esercito di Meve alle legioni di Nilfgaard, ai commando degli Scoia’tael o ai mostri che terrorizzano villaggi e campagne. L’obiettivo è sempre lo stesso: superare la forza delle carte dell’avversario.

La versione del gwent presente in Thronebreaker è ovviamente quella del titolo multiplayer, molto diversa dal minigioco di The Witcher 3. Ci sono però delle differenze significative, sia per quanto riguarda le carte disponibili sia in relazione alla struttura degli scontri. Dal momento che si tratta di battaglie vere e proprie, infatti, ogni comandante può intervenire più volte utilizzando la sua abilità peculiare. C’è un cooldown di un certo numero di turni, tanto maggiore quanto più potente è l’abilità. In seguito a precisi momenti della storia principale o a specifiche scelte in alcune missioni secondarie, è possibile ottenere nuove carte comandante per Meve, ciascuna con un’abilità precisa.

I campi di battaglia variano in base al luogo dello scontro.

La maggior parte degli scontri, di solito imboscate o attacchi strettamente legati a snodi narrativi, si combattono in un solo round e presentano regole speciali. La classica struttura a tre round, invece, torna nelle grandi battaglie della storia – soprattutto quelle che segnano la fine di un atto – e nelle battaglie, volte esclusivamente a raccogliere risorse, che compaiono sulla mappa indicate da un apposito simbolo.

Uno dei punti di debolezza di Thronebreaker, purtroppo, riguarda proprio il gwent: il grado di sfida dei match, nonostante la possibilità di scegliere tra tre livelli di difficoltà, è eccessivamente basso.

Un ulteriore tipo di scontro è quello rappresentato dei puzzle, anch’essi indicati sulla mappa. In questo caso il giocatore non usa il suo mazzo, ma gli vengono assegnate solo delle carte specifiche che vanno usate nel giusto ordine per risolvere il rompicapo e vincere. È soprattutto nei puzzle che emergono le migliori scelte di design di CD Projekt, con picchi veramente ispirati. Sempre nei rompicapi, inoltre, la difficoltà si alza notevolmente e riesce a proporre un soddisfacente livello di sfida.

Alcuni puzzle sono surreali.

In marcia!

Com’è chiaro fin dai primi momenti di gioco, Thronebreaker è un’avventura on the road, tanto per Meve quanto per il giocatore che la interpreta. L’esplorazione avviene in modo abbastanza lineare e l’obiettivo è sempre quello di “andare avanti”: verso una città sotto assedio, un possibile alleato, un nemico da eliminare. La struttura del gioco si sposa bene con la storia della regina diventata guerrigliera, alla disperata ricerca di reclute e alleati, ma a lungo andare può risultare ripetitiva. CD Projekt fa del suo meglio per mantenere una buona dose di varietà, ma alla fin fine sempre di partite di gwent si tratta, e un leggero snellimento delle mappe avrebbe giovato al titolo nel suo insieme. Per completare il gioco portando a termine tutte le attività secondarie abbiamo impiegato più di 35 ore, ma riteniamo difficile finire la storia in meno di 20.

La regina non è però in continuo movimento. La gestione delle carte avviene infatti nell’accampamento, raggiungibile in qualsiasi momento del gioco e diviso in zone diverse. La tenda reale permette di visionare lettere e rapporti, nella tenda di comando ha sede il crafting delle carte e la formazione del mazzo, la tenda della mensa consente di parlare con i personaggi reclutati, l’officina potenzia tutte le sezioni dell’accampamento e le carte stesse e infine il campo di addestramento offre scontri contro l’IA per aumentare la propria abilità nel gwent.

L’accampamento si espande man mano che viene potenziato.

Se vi chiedete poi se c’è un legame diretto con il multiplayer, la risposta è sì: nel modo di gioco si possono trovare bauli con contenuti premium (nella fattispecie carte dei personaggi di Thronebreaker, avatar e cornici per gli avatar) che una volta sbloccati vengono trasferiti in Gwent.

A rendere molto più piacevoli i vagabondaggi nel Nord è l’ottimo comparto sonoro, che vanta una splendida soundtrack perfettamente adatta alle atmosfere del gioco e istintivamente familiare a chi ha giocato The Witcher (su tutti spicca il tema di Rivia). Anche il doppiaggio italiano è di un buon di livello, ma quello inglese, soprattutto grazie alla straordinaria doppiatrice di Meve, si colloca una spanna sopra.

I personaggi reclutati intervengono spontaneamente nelle missioni e l’esito può cambiare a seconda che siano presenti o meno.

Thronebreaker: The Witcher Tales è quindi il risultato di una bizzarra commistione di generi che – in modo quasi sorprendente – funziona.

La componente ruolistica si limita sostanzialmente alle scelte, ma queste hanno una profondità inaspettata, così come il ricco cast di personaggi che accompagna Meve. Certo, non è The Witcher, ma non vuole nemmeno esserlo. Si tratta prima di tutto di un gioco di carte in salsa RPG che, nonostante l’IA migliorabile e la struttura un po’ ripetitiva, offre un’esperienza narrativa piuttosto solida e tante ore di divertimento per gli appassionati di gwent. Ecco, solo un consiglio: se non amate il gwent, state alla larga.

IL VERDETTO

8
A CHI POTREBBE PIACERE?
Agli appassionati di The Witcher che apprezzano il gwent nella sua versione standalone e vogliono tuffarsi in una nuova storia ambientata nel mondo di Sapkowski.
PRO
  • La storia è fedele allo spirito di The Witcher
  • Meve è un'ottima protagonista
  • Le scelte hanno conseguenze tangibili
  • Varietà negli scontri e nelle attività secondarie
CONTRO
  • Difficoltà troppo bassa
  • A lungo andare può risultare ripetitivo
  • Salvataggio unico

DATI DEL GIOCO

Piattaforme: Windows, PlayStation 4, Xbox One

Sviluppatore: CD Projekt RED

Distributore: CD Projekt

Data di uscita: 23/10/2018

Spazio dedicato nel forum

PEGI: 12+

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Lettrice incallita, serie TV-dipendente e videogiocatrice instancabile, è appassionata di fantasy e fantascienza sin da quando era solo una piccola padawan inesperta. Amante di Action-Adventure e soprattutto di RPG, predilige giocare su PC ma ha ceduto all’acquisto di una PS4 perché adora le esclusive Sony. Tra i suoi RPG preferiti: Dragon Age, Mass Effect e The Witcher.