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Recensione Steel Seed 2025-06-02T14:35:31+02:00
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    Recensione Steel Seed

Uscito in sordina il 22 aprile 2025 su PC, PS5 e Xbox Series X/S, sta lentamente conquistando una sua fetta di popolarità per i suoi valori intrinsechi, tanto da meritarsi recensioni “molto positive” su Steam (su Metacritic il gioco pare più divisivo).
Certamente sembra impossibile che una piccola software house indipendente (e con l’aggravante di essere italiana) sia riuscita a sfornare un gioco di una tale caratura e sia talmente temeraria da voler rivaleggiare con tanti titoloni Tripla A che possono contare su budget ben più consistenti.
Steel Seed, dicevamo, è un progetto molto ambizioso: si tratta di un action frenetico molto incentrato sull’esplorazione e sulla furtività. Ma anche con numerose sezioni platform e una ridotta (ma inevitabile) dose di combattimenti.
L’autore stesso ha dichiarato che l’dea era quella di riproporre, aggiornandolo, lo stile “arcade” che imperava decenni fa, quando il divertimento degli sviluppatori scivolava naturalmente nei giocatori senza inchinarsi (e incrinarsi) alle leggi di mercato.

 

Molti ambienti sono di straordinaria suggestione

Grafica e tecnica

Fin dai primi frame la sontuosità degli scenari colpisce duro. Nella prima metà del gioco scenderemo in sconfinati ambienti industriali che capiremo immediatamente essere stati bizzarramente realizzati da intelligenze artificiali e robot assortiti. Il tutto condito da un sistema di illuminazione che definire eccellente è riduttivo.
Oltra all’inusitata grandiosità noteremo subito che quasi nessun elemento è immobile: grandi piattaforme semoventi, bracci meccanici in agitazione parossistica, fumi, carichi sospesi che viaggiano verso mete misteriose, archi voltaici, getti d’aria che spesso potremo sfruttare per raggiungere luoghi apparentemente inaccessibili, ecc…

Dove condurrà questa monorotaia cui sono appesi quei bizzarri carrelli?

Dopo questa sorta di discesa agli inferi ritorneremo a veder le stelle dovendo raggiungere la cima di una torre di assurde dimensioni e altezza.
Anche le animazioni sono impeccabili e dotate di adeguata fisicità, particolarmente fluida e riuscita è quella della protagonista quando passa dalla corsa alla posizione furtiva.
Tra le ricercatezze presenti nel gioco è importante segnalare la possibilità, tramite un comando nel menù, di applicare il cel shading: anche se non c’è un vero e proprio impatto sul gameplay, talvolta riesce a rendere ancora più suggestive le immagini.

La possibilità di attivare un effetto di cel shading aumenta ulteriormente la suggestione di certe scenografie

Soggetto, sceneggiatura, personaggi

Togliamoci subito il dente: purtroppo la scrittura è il tallone d’Achille del gioco. Per giustificare questa sentenza non si può evitare di citare l’assunto di partenza, che viene illustrato nei primi minuti del prologo/tutorial, quindi il pericolo di spoiler è assai ridotto. In primis ci viene spiegato che l’avidità degli uomini ne ha determinato l’autodistruzione. Concetto già da secoli ampiamente sfruttato in migliaia di prodotti fantascientifici, ma in questo caso non sono riuscito a capire se viene adottato per intima convinzione degli autori o per semplice piaggeria nei confronti dell’ecologismo di moda.
Sta di fatto che l’ultimo scienziato dotato di un po’ di sale in zucca aveva organizzato di memorizzare e conservare la propria mente e i propri ricordi in vista di un fantomatico “risveglio futuro” in cui si rendesse possibile riportare alla vita i pochi umani superstiti (i “semi d’acciaio” del titolo) che ora sono in stato di animazione sospesa e presidiati da schiere di robot.
Lo scienziato aveva riservato lo stesso trattamento a sua figlia Zoe che, al suo risveglio, dovrà essere l’esecutrice materiale del progetto e di conseguenza assumerà il ruolo di protagonista assoluta del gioco. Dopo un tempo molto lungo ma imprecisato, la fanciulla si sveglia in un corpo robotico e quanto successo le viene presto spiegato da un’IA (anch’essa creata da suo padre).
Quello del trasferimento della mente resta sempre un tema molto intrigante anche se certamente non originale: chi ha avuto, per esempio, la fortuna di conoscere quel capolavoro assoluto chiamato Soma, ricorderà come riusciva a scatenare emozioni e svolte imprevedibili a getto continuo. Qui invece finisce per limitarsi a un buon pretesto per avviare il viaggio della nostra eroina che deve (guarda un po’) salvare il mondo. Inoltre la rapidità con cui Zoe accetta la sua nuova condizione e il suo titanico compito lascia un po’ interdetti. La sua calma olimpica (somigliante all’indifferenza) non contribuisce certamente a creare empatia col personaggio che, d’altra parte, in tutto il corso del gioco si limiterà a pronunciare poche frasi e per lo più ripetute.

Zoe parrebbe molto graziosa, ma potremo solo ammirarne i dolcissimi occhi azzurri

Per fortuna Koby, il suo seguace, possiede ben altra personalità. Un piccolo seguace volante non è certo una novità, ma è sempre un elemento vincente. L’antesignano, nel secolo scorso, è stato il mitico Morte di Planescape Torment. Là, in ambiente fantasy e ruolistico, si trattava di un piccolo teschio sarcastico e ambiguo. Questo suo lontano discendente invece è uno scattante robottino tenero e affezionato come un cucciolo, che si esprime con brevi suoni che solo Zoe riesce immediatamente a decifrare. Le sue funzioni sono soprattutto quelle di guida, di ricognizione e di supporto per forzare determinate serrature elettroniche. In vari modi partecipa impavidamente anche agli scontri e, se viene abbattuto, sa rialzarsi dopo pochi minuti.

La simpatia di Koby è travolgente

All’inizio possiede capacità offensive assai ridotte, ma nel corso del gioco imparerà varie abilità estremamente utili. Tra le tante ci limitiamo a segnalare la possibilità di lanciare ordigni e creare aree (simili a prati elettronici artificiali) in cui Zoe può mimetizzarsi. Nel corso del gioco faremo la conoscenza di altre importanti presenze, la principale delle quali è quella IA (chiamata S4VI) a suo tempo creata dal padre di Zoe che, per quasi tutto il gioco, la informerà del pregresso e dei luoghi da raggiungere, fungendo da “Virgilio” virtuale.
Il modo in cui S4VI è rappresentato lascia inizialmente un po’ sconcertati: trattasi di un energumeno che pare appena uscito dalla doccia, ma per fortuna (e forse per non turbare la fanciulla) non ha scordato di drappeggiarsi un asciugamano intorno ai fianchi che salva la decenza. In più è dorato come un cioccolatino o come una Bond Girl di Goldfinger. Niente paura: più avanti nel gioco questa bizzarra rappresentazione assumerà un qualche senso. Piuttosto, si potrebbe pensare che questo personaggio sia stato ispirato dal “Dottor Manhattan” di “Watchmen”.
Ma incontreremo anche altri personaggi (amici o avversari) dotati di qualche personalità: ci asteniamo però dal fornire altri dettagli per non spoilerare ulteriormente. La brutta notizia è che i più fanno una comparsata (magari rutilante) ma poi non danno adito a sviluppi narrativi né di gameplay. Per esempio: Zoe sarà indotta a raggiungere, con grande fatica, un enorme e spettacolare manufatto che si scorge in lontananza. All’arrivo troverà un’emozionante sorpresa che però, purtroppo, non avrà alcuna conseguenza sul prosieguo della storia.

A quale funzione dovrà provvedere questo enorme macchinario?

Motore grafico, bug

Il gioco è realizzato con l’UE5 e sfrutta tutti i possibili effetti speciali più à la page, tuttavia, su un sistema risalente a oltre sei anni fa, ha costantemente retto 45/50 fps in 4K, tutto al massimo e senza rallentamenti. Inoltre, malgrado l’ampiezza degli scenari e l’enorme numero di elementi che si agitano in maniera spesso parossistica, nel corso della partita il gioco ha quasi sempre garantito una scorrevolezza fluida e senza intoppi. Inconvenienti: in un paio di circostanze Zoe è rimasta incastrata nel fondale e una volta è successo che cadesse sul fondo senza sfracellarsi né poter risalire.

La perfezione non è di questo mondo. Qui la povera Zoe è finita dove non si prevedeva dovesse andare

Normalmente, inoltre, la telecamera si comporta egregiamente ma, in un paio di casi, è finita dietro a muri virtuali rendendo impossibile individuare la meta. Fortunatamente i checkpoint sono molto ravvicinati.

Certi dungeon sono proprio inquietanti

Salti e frenesia

“Steel Seed” si sforza di essere sempre frenetico e di evitare a ogni costo la noia. Alla povera Zoe capiterà spesso di dover scivolare su piani inclinati coperti di grassi sciolti che la costringeranno a un precario equilibrio per non precipitare di sotto. I molti casi questa incresciosa situazione sarà propedeutica a una serie di salti da compiere in velocità, con precisione e senza esitazioni, pena ricominciare dall’ultimo checkpoint. Le situazioni diventano spesso ancora più complesse e ansiogene allorquando l’intero ambiente comincia a collassare in un tripudio di detriti volanti e appigli che parevano sicuri ma improvvisamente crollano, scatenando il panico nella protagonista e nel giocatore. In un paio di casi la telecamera passerà dalla visuale in 3D a una semi fissa in 2,5 D, certamente un omaggio ai più classici Metrodivania.
In quasi tutte queste sezioni del gioco viene naturale inchinarsi davanti alla maestria dei programmatori che sono stati in grado di concentrare una simile massa di inventiva e spettacolarità in poche manciate di secondi.
Ma anche qui c’è un “però”: le sezioni platform sono, come ovvio e come quasi sempre succede in questo genere, fortemente guidate. Talvolta capita che in alcune circostanze a Zoe sia artificiosamente concesso di effettuare salti di un’altezza che altrove le era negata e questo, anche se aumenta l’imprevedibilità, crea una rigida gabbia fastidiosa per il giocatore. Inoltre (e questo può piacere o meno) è un continuo trial&error in quanto capita di frequente che la meta del prossimo salto sia difficilmente individuabile, magari perché celata in direzioni imprevedibili o raggiungibile solo indovinando il tempismo e contando sulla fortuna.

La cifra del gioco è la grandiosità

Furtività e combattimento

È sempre preferibile approcciare i nemici in maniera furtiva. Zoe è dotata di una sorta di spada laser con un impatto piuttosto ridotto, mentre i robot sono letali e capita spesso che le schivate siano rese ardue e/o impossibili dalla configurazione dell’arena. Quindi l’ideale è eliminare il maggior numero possibile di nemici avvicinandosi silenziosamente alle spalle e senza farsi scoprire.
Gli avversari sono di pochi tipi, ma tutti dotati di un cono visuale molto ampio e profondo. Il loro comportamento è decisamente più avanzato rispetto a quello che si vede in molti titoli concorrenti e più blasonati: se un robot sentinella intravede Zoe (o Koby) lancia subito l’allarme e l’area si affolla immediatamente con torme di inseguitori in agitazione parossistica che analizzano accuratamente tutta l’area incriminata scambiandosi ordini tanto secchi quanto incomprensibili. Ogni campo di battaglia dispone però di angoli e livelli in verticale in cui la nostra eroina può cercare di ripararsi fino al ritorno della calma (ma non sempre funziona….).
In pratica: ogni sconfitta sarà comunque utile per individuare percorsi e strategie ottimali per semplificare la vittoria e i tentativi successivi saranno sempre diversi dai precedenti.
Altro elemento, che potrebbe però non piacere, si verifica quando un nemico è più lesto ad attaccare della povera Zoe: può allora capitare che scatti un QTE che assegnerà la vittoria solo se si premeranno alcuni tasti in un determinato ordine e in pochi secondi. A “Normale” i tasti sono sei, nella modalità “Storia” si riducono a quattro.

I Quick Time Event non sono frequenti ma, quando scattano, il panico è garantito

Difficoltà e altri elementi del gameplay

A proposito di difficoltà: a “Normale” il gioco all’inizio è molto facile, ma nelle fasi avanzate diventa sempre più severo. La modalità “Storia” non è tale, visto che le acrobazie non si semplificano e la maggior parte dei nemici resta comunque agguerrita. In pratica, chi riesce a portare a termine in scioltezza qualsiasi “Soul like” riuscirà a completare il gioco in dieci o quindici ore (ispezionando tutto e raccogliendo tutti i collezionabili). Chi invece è più predisposto per i “Walking simulator” troverà pane per i suoi denti e dovrà reiterare molte volte i tentativi.
Zoe dispone di una barra della vita che si ricarica soprattutto mettendo a segno i fendenti. La modalità furtiva è quella che più conviene coltivare. Ma è opportuno cercare di acquisire anche le abilità per il combattimento con la spada stante che, nelle ultime parti del gioco, capiterà di doversi misurare con orde di robot scalmanati e, nella parte finale, Zoe dovrà affrontare l’unico vero boss del gioco solo tirando fendenti e schivando i suoi letali attacchi.

Zoe sospetta che questo gigante la pedini con intenzioni ostili

Non c’è una vera e propria mappa ma questo non è un problema: la giusta direzione è di solito abbastanza agevole da trovare malgrado l’enormità di alcune mappe e Koby può sempre indicare una direzione opportuna. Inoltre capiterà anche che Zoe possa disporre di mezzi galleggianti per superare lagune di mucillagine tossica.

Finalmente abbiamo trovato un mezzo galleggiante che ci consentirà di attraversare questo lago tossico

In ogni livello, disseminati ma ben nascosti, sono presenti terminali da cui Zoe può scaricare documenti che approfondiscono il lore.

Questa sorta di piccolo hub è utilissimo in quanto svolge molte funzioni

All’inizio di ogni area c’è una sorta di “cabina” in cui Zoe può curarsi, salvare la partita (in un congruo numero di slot), riscattare le abilità guadagnate superando determinate sfide, effettuare il viaggio rapido ecc…

Il quadro delle Abilità

Il viaggio rapido consente anche di ritornare in tutte le aree già visitate per completare le sfide (necessarie per l’acquisizione delle abilità) o raccogliere i collezionabili sfuggiti al primo passaggio, ma in alcuni casi, purtroppo, è anche indispensabile per proseguire il viaggio. A chi scrive questa pare una scelta scellerata perché impone un ulteriore irrigidimento del gameplay. Meglio sarebbe stato che ogni volta fosse stato possibile accede all’area successiva attraverso passaggi, anche ardui, o ascensori o qualsiasi altro mezzo, come d’altra parte accade nella maggior parte dei casi. Questo esaspera la rigidità della struttura a corridoio del titolo.
Un’impostazione così guidata è perfetta quando necessaria per un comparto narrativo particolarmente ricco di colpi di scena e la trama possiede un suo rigore geometrico che travalica il peso del gameplay propriamente detto. Steel Seed invece racconta tutto all’inizio e alla fine dove la trama, improvvisamente, si impenna, ma troppo tardi. In mezzo troviamo una sequenza di “quadri” che sono, certamente, molto divertenti e concepiti con sorprendente maestria, ma che finiscono per sembrara infilati in un qualsiasi ordine.
È fin troppo evidente che il maggior impegno è stato riservato all’aspetto prettamente ludico, ma oggi siamo un po’ viziati e la secchezza narrativa degli arcade più classici non ci basta più. La buona notizia è che ci vengono risparmiati i troppi e troppo lunghi filmati che da tempo affliggono anche quasi tutti i migliori vg provenienti dal Sol Levante.
I suoni ambientali sono più che adeguati, ma una menzione particolare merita la colonna sonora che vanta temi, voci e orchestrazioni molto suggestivi e mai troppo invasivi. Stupisce anche che il gioco sia sottotitolato in dodici lingue e, addirittura, doppiato in sei di esse (italiano compreso).
D’altra parte l’autore stesso ha sfatato la leggenda metropolitana secondo la quale i doppiaggi comportano costi eccessivi nell’economia complessiva di un progetto. La colpa sarebbe invece dei responsabili del marketing i quali reputano che loro fatica per realizzare le localizzazioni complete non sarebbe adeguata al numero di copie vendute in più. Dal momento che questa affermazione arriva dall’esperto CEO di una SH indipendente, non ci resta che credergli.

In conclusione, Steel Seed è un gioco tutto da scoprire. Malgrado alcune innegabili pecche, è certamente tra le migliori sorprese dell’anno, soprattutto per la maestria con cui è confezionato in ogni dettaglio.
La storia alla fine è pienamente conclusa, ma non ci resta che sperare in un successo commerciale sufficiente a indurre gli sviluppatori a crearne un seguito che riempia le lacune e meglio sfrutti gli spunti non adeguatamente approfonditi in questo esordio.

IL VERDETTO

8
A CHI POTREBBE PIACERE?
Agli amanti degli antichi arcade, dei Dungeon crawler, dei Metrodivania, degli Action in stile Tomb Raider.
PRO
  • Visivamente e tecnicamente stupefacente
  • Gameplay frenetico e variato, gran varietà di approcci e strategie
  • Ottimo sonoro e localizzazioni in più lingue
CONTRO
  • Scrittura non all’altezza del resto del gioco
  • Troppi spunti non sono adeguatamente sviluppati e si perdono per strada
  • Qualche bug e qualche problema di telecamera, urgono cerotti

DATI DEL GIOCO

Piattaforme: Windows, PlayStation 5, Xbox Series X

Sviluppatore: Storm in a Teacup

Distributore: ESDigital Games

Data di uscita: 22/04/2025

Spazio dedicato nel forum

PEGI: ND

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