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Recensione Final Fantasy XVI 2023-08-07T14:41:04+02:00

Final Fantasy XVI è un gioco enorme e accuratamente confezionato (anche con ruffianeria) per piacere a chiunque.
Ma come mai il suo successo, pur notevole, non pare sia travolgente come c’era da aspettarsi? Square Enix ha definito i risultati economici “soddisfacenti” ma, dopo un record di prevendite, il gioco è rapidamente sceso nelle classifiche malgrado i voti unanimemente altissimi delle recensioni più blasonate.
Quindi, per ora, i risultati di altri capitoli della saga parrebbero irraggiungibili malgrado una straordinaria profusione di talento e uno sforzo produttivo imponente come non mai: già molto prima del rilascio il Direttore Artistico Hiroshi Minagawa aveva rivelato che i costi erano “spaventosi” (e si vede!).
La consolidata fama della saga è dovuta, tra l’altro, alla dovizia di scenari incredibili, di scontri titanici, di trame involute. Ma questa volta hanno deciso di superare se stessi nello spericolato tentativo di raggiungere nuovi vertici di spettacolarità sfidando l’altissima qualità tecnica delle odierne produzioni tripla A concorrenti.

Capita spesso di restare a bocca aperta

Sony ha così deciso di sottoporre la saga a un reboot per renderla quanto più possibile appetibile ai mercati internazionali e usarla come definitiva killer application per la PlayStation 5 (ma l’esclusiva scadrà a fine anno).
Evidentemente qualcosa non ha funzionato a dovere: stante la qualità estremamente alta del gioco, le ragioni sono difficili da individuare.
Ma cerchiamo di capire.
La prima ragione è sempre la stessa, con le saghe di enorme successo popolare (come questa e come The Elder Scroll) parte il review bombing. Gli hater professionali sembrano attirati come mosche, si organizzano e inondano Metacritic e siti analoghi di recensioni brutalmente negative nel preciso istante in cui il gioco viene rilasciato, quando neanche c’è stato il tempo per installarlo. C’è però da dire che questo effetto sta già scemando e, mentre scriviamo, le vendite sono riprese e hanno già superato i tre milioni di copie. Nota: negli Stati Uniti il gioco ha stabilito un record mente in Giappone l’accoglienza è stata piuttosto tiepida.
Un altro effetto che potrebbe aver indignato i videogiocatori nipponici è che il mondo di gioco è fortemente occidentalizzato anche se lascia, in mille particolari, trapelare le sue radici. L’atmosfera prevalente è ben più scura e matura di quella degli episodi precedenti. Dalla favoletta in qualche modo tradizionale, si vira al dramma e alla tragedia, anche introducendo, in maniera non poi così superficiale, quei temi pesanti che oggi si portano bene su tutto: il razzismo, la schiavitù, l’avidità, lo sfruttamento, la malvagità, l’esclusione, la sete di potere.
Questo sforzo per far apprezzare la saga a un’utenza più matura ed esigente ha probabilmente sconcertato i fan di vecchia data, soprattutto quelli giapponesi.
Questa impronta decisamente occidentale non pregiudica però l’abbondanza delle tradizionali e immancabili baracconate con i mostri enormi che restano frenetiche e coloratissime (e spesso dannatamente divertenti).

I duelli tra gli Eikron sono sempre esagerati

I personaggi principali, addirittura, vengono solitamente appellati come “Sir” o “Lady” e i loro nomi suonano tipicamente inglesi, ma anche francesi, tedeschi e addirittura italiani. Lo stesso vale per il nome dei luoghi e degli animali fantastici. Incontreremo addirittura personaggi e oggetti presi di peso dalla mitologia norrena e le citazioni della cultura occidentale sono continue (e a volte addirittura bislacche). Abbondano i riferimenti biblici e c’è, per esempio, un luogo denominato “Reverie”, come un volo poetico fantastico o un brano di Debussy. La scena forse più spettacolare del gioco è in fase avanzata e riesce, miracolosamente, a riprodurre quella leggendaria del più grosso kolossal hollywoodiano degli anni ’50 (che qui non nominiamo per evitare spoiler). Ancora: non mancano le inquadrature di Clive e del suo cane (in realtà un maestoso lupo del nord) che ricordano Io sono leggenda.

Torgal è adorabile e assai utile in battaglia

Ricordiamo che, dopo Il Trono di Spade, il fantasy non è più stato lo stesso. Anche gli scrittori di Square Enix (come già quelli di Ubisoft in Assassin’s Creed Valhalla) hanno finalmente fatto tesoro della lezione di George R. R. Martin e del suo amore per i colpi di teatro, ivi compreso il fatto che le tragedie non sono più riservate solo ai cattivi nell’epilogo della storia. Questo aumenta la suspense ma può spiazzare i giocatori più giovani e tradizionalisti che cercano sicurezze e consolazioni.
Naoki Yoshida, il produttore del gioco, ha più volte ammesso di aver tratto ispirazione da quella saga, il background e addirittura l’aspetto di molti personaggi di Valisthea ricalcano quello dei loro omologhi dei Sette Regni. Addirittura il protagonista, Clive Rosfield, somiglia un po’ a Jon Snow anche se ha occhi cerulei, troveremo anche un’omologa di Cersei Lannister e di altri personaggi altrettanto iconici. La ricerca delle citazioni è un divertente gioco nel gioco.

E questo è il nostro Clive…

Il tutto è inframmezzato da un gran numero di scene “forti” che aspirano a una tragicità di stampo scespiriano. In questo quadro la propensione giapponese per il teatro si integra benissimo, anche se spesso tutta questa enfasi suona un po’ freddamente ricercata. Lo stesso vale per le sequenze gravide di buoni sentimenti che dovrebbero scatenare la commozione (e spesso centrano l’obiettivo).
Anche il sonoro è all’insegna dell’esagerazione. I suoni ambientali, come sempre da anni in queste mega produzioni, sono impeccabili.
Per lo più le musiche sono orecchiabili e accattivanti, un po’ nello stile dei film romantici del dopoguerra e dei cartoni giapponesi degli anni ’80, comprensive di cascate di violini e di chitarroni. Certi valzer in stile parigino o viennese vengono spericolatamente alternati a citazioni dei Carmina Burana, carezzevoli sonorità da piano bar lasciano posto a pestoni drammatici e selvaggi sulla tastiera del pianoforte.
L’ottima orchestrazione fornisce un ottimo servizio ai numerosi e splendidi temi musicali tra i cui autori spiccano Kenshi Yonezu e Masayoshi Soken.
Alla fine questo mix così vintage e scevro da sonorità elettroniche accompagna le immagini armoniosamente e le esalta nel modo migliore.
L’inizio in verità non è molto promettente. Ci troviamo in un castello ricco e sontuoso ma tutt’altro che inedito, animato da figurine leziose e prive di personalità. Per oltre un’ora l’interazione è ai minimi termini e può far capolino la noia.

Il Castello di Rosaria è il primo ambiente del gioco

Poi, fortunatamente ma non imprevedibilmente, la situazione precipita e deflagrano le prime scene ad alto tasso di spettacolarità, si comincia a intravedere un lore tutt’altro che semplicistico e a sospettare che ci attendono potenti sviluppi narrativi.
Sorpresa; dopo qualche buona sequenza cinematografica e una scena ad alto tasso di spettacolarità e drammaticità, il gioco sembra concludersi!
Invece abbiamo solo fatto un lungo tutorial e appaiono i titoli di testa (!!!).
Da qui parte l’esperienza ludica “vera”, con una trama complessa e fluviale che porterà Clive, il nostro super eroe, in un turbine di eventi, esplorazioni, duelli, battaglie, magie, trasformazioni talmente eclatanti da degradare quei pupazzoni dei “Trasformers” a patetici dilettanti…
Infatti nel continente di Valisthea la tecnologia è sconosciuta ma impera la Magia, in particolare quella dei “Cristalli”: progressivamente scopriremo la ragione della loro presenza.
Alcuni sfortunati umani, i “portatori”, possono esercitare delle magie elementari senza dover ricorrere ai Cristalli e questa loro facoltà è all’origine della loro rovina: vengono sfruttati ed emarginati in maniera atroce, disprezzati e considerati alla stregua di macchine, la loro vita non ha alcun valore.
Ma sono presenti anche dei rari ed enormi esseri elementali, gli Eikon, che albergano in alcuni umani detti i “Dominanti”. I titolari di questo (improbabile) privilegio sono di solito ostracizzati come i “Portatori”, soprattutto nei casi in cui i loro poteri non siano ancora maturati. Ma, in altri casi, sono temuti e rispettati per ragioni utilitaristiche.

Il nostro Clive si sta semplicemente arrabbiando o….

Il resto, sempre improntato al gigantismo più estremo, potrete scoprirlo giocando. L’andamento generale della main è piuttosto iterativo: ogni sessione comincia con lunghi dialoghi cui segue una fase esplorativa abbondantemente infarcita di scontri e battaglie più o meno casuali.
Dopo alterne vicende (magari ulteriormente ravvivate da sconcertanti apparizioni e nuovi esseri misteriosi) la situazione diventa sempre più concitata fino ad esplodere in clamorosi scontri con boss via via sempre più enormi.
Ogni volta sembra che il gioco sia giunto al gran finale e che le cose si siano chiarite.
Invece no.
Si scopre che quello che sembrava il boss definitivo era in realtà un gregario e intorno aleggia l’ombra di qualcosa o qualcuno ancor più grande e terribile. Questo gioco di specchi è un altro trucco narrativo che funziona molto bene, anche per merito degli scenari che si ingigantiscono progressivamente e in proporzione. Insomma: è innegabile che il tutto sia confezionato con grandissimo (e forse freddo) mestiere.
Da un certo punto della storia, inoltre, cominciano a spuntare numerose missioni secondarie di qualità e interesse altalenante. Come in tutti questi giochi enormi, qualche fetch quest non manca, ma nella maggior parte dei casi ci imbattiamo in storie narrativamente solide, molte non sono prive di originalità, di solito introducono nuovi personaggi interessanti e magari finiscono per essere ben remunerative.
Ma qui emerge anche il più grave errore di design del gioco.
Le sub appaiono solo in determinati punti della trama e vengono immediatamente esplicitate mediante vistosi segnalini sulla mappa.
In altri termini: non può capitare di imbattersi casualmente in qualche nuova avventura ma tutto è rigidamente programmato. Quindi non ha senso andare in libera esplorazione con la speranza di trovare nuove avventure, eventuali aree precluse diverranno accessibili solo quando previste dalla sceneggiatura, al massimo ci si potrà imbattere in qualche animale fantastico, aggressivo se avvicinato e un po’ duro da battere o in gruppi di normali nemici resuscitati per l’occasione.
Questo mortifica un po’ il fascino di un mondo enorme che però si rivela poco aperto malgrado la grande estensione delle aree, anche se un efficiente sistema di viaggio rapido nei luoghi già visitati è favorito da un’inusuale velocità dei caricamenti.La mappa generale del Continente di Valisthea non rende giustizia alla sua abnorme estensione

D’altra parte per completare la main (in speed run mode) sono necessarie varie decine di ore (la stima è di quaranta/sessanta) che possono raddoppiarsi (e oltre) se si cerca di affrontare tutte le sub.
Altro problema: nella foga di rendere il gioco accessibile a tutti, la prima vittima è la “sfida”.
Per quanto riguarda la difficoltà le opzioni sono due: “storia” e “azione” e anche nel secondo caso bisogna quasi impegnarsi per fallire qualsiasi scontro. Inoltre, nel caso di improbabile morte dell’eroe, viene ricaricato un salvataggio automatico in cui spesso il boss ha già perso una certa quantità di vitalità e sia le pozioni che i poteri di Clive sono stati riportati al massimo.
Un maggiore impegno è necessario nel caso di alcuni bestioni facoltativi che vale la pena di trovare in quanto fornitori di oggetti unici.

L'”Alyman” ha un’aria sciocca ma è veloce e spara di tutto…

Questi boss e mini boss possono spuntare a corredo di certe sub o vanno cercati a seguito di fumose indicazioni fornite da una “bacheca” nel “Rifugio”. Sono comunque tutti avulsi dalla trama principale.
Dopo la prima run è possibile affrontare una partita NG Plus con avversari più forti ma il livello di difficoltà continua a non impennarsi. Se si desidera una sfida hardcore si deve ricorrere all’opzione “Final Fantasy Mode” anch’essa attivabile solo in una successiva run.
Non c’è più traccia del classico sistema a turni tipico dei JRPG, in compenso il sistema di combattimento puramente action è molto curato, spettacolare e profondo, ispirato allo stile dinamico e raffinatamente tamarro di Devil may cry. Analogamente sono stati del tutto rimossi il grinding e il farming esasperati che tanto piacciono ai giocatori giapponesi ma che hanno sempre respinto quelli occidentali.

Questo è grosso e lento ma crea un mucchio di problemi

Nota: si avvertono i raccoglitori compulsivi che, in questo quadro, looting e al crafting sono secondari e di interesse ridotto.
Anche il numero delle abilità che Clive può guadagnare è impressionante. Tutte danno origine a performance assai varie e altamente spettacolari, ulteriormente esaltate da ottime animazioni. Nel corso del gioco sarà assai divertente provare nuove abilità e nuove combo anche se, in verità, il relativo menù non è immediato da padroneggiare e alcune abilità rivelano scarsa efficienza.

All’inizio del gioco sembra che l povero Clive disponga di poche abilità. Ma strada facendo…

Pesa un po’ anche la totale assenza di enigmi e misteri e, naturalmente, il ritmo non è sempre indiavolato. Questo fatto è stato bollato come generatore di momenti di noia, ma in giochi così enormi non è possibile né auspicabile l’assenza di momenti più riflessivi in cui prendere un po’ di respiro.
Il lore è enorme, profondo e assai ben studiato, ma purtroppo il relativo codex risulta un po’ stringato. Esso, tra l’altro, non è raggiungibile dai menù ma è consultabile solo nel “Libro dei cento Tomi” presente nella libreria del vecchio saggio Hippocrates che si trova nel “Rifugio”.

Il buon Hippocrates ci fornirà preziose informazioni, aiuti indispensabili, qualche incarico.

In compenso c’è il cosiddetto “Active Time Lore”, sempre attivabile, anche durante i filmati, che fornisce qualche informazione sui luoghi e personaggi che si stanno frequentando in quel preciso momento.
Purtroppo la nuova impostazione non si limita a impoverire la “sfida” ma anche la componente ruolistica che risulta forse ancora più evanescente di quanto accadeva nei passati episodi della Saga. I JRPG raramente brillano per le “scelte”, ma qui esse sono quasi completamente assenti essendo, al massimo, limitate all’ordine in cui vengono svolte le missioni secondarie quando disponibili. Inoltre l’intrinseca facilità del combattimento rende meno urgente la cura della crescita del nostro eroe.
Le buone notizie sono che questo sistema elimina la necessità di qualsiasi forma di auto-livellamento e che non c’è traccia di elementi procedurali, tutto è realizzato “a mano”.
Di più: anche la galleria dei personaggi è veramente straordinaria e straordinariamente affollata.
Gli alleati e i nemici più importanti sono tutti caratterizzati molto profondamente sia dal punto di vista fisico che psicologico, hanno tutti alle spalle una storia, più o meno lunga e complessa, che viene progressivamente rivelata durante i dialoghi o nelle loro missioni dedicate. Scopriremo che in un determinato momento della loro vita hanno superato le zone oscure in cui erano precipitati e hanno rovesciato il senso del loro modo di pensare e comportarsi.
Tutti i personaggi di qualche peso si arrovellano in preda a rimpianti, rimorsi, lutti mai elaborati. Ma una notevole cura è stata riservata anche agli infiniti NPC di terz’ordine, sempre diversi e sempre con qualche carattere distintivo che li rende unici.

Costui è Dion Lesage e ci dimostrerà che “anche i principi piangono”

La stessa attenzione è riservata anche agli aspetti fisici e agli abbigliamenti. Una curiosità: formalmente non c’è in tutto il gioco un personaggio di origine orientale, sembra che gli sviluppatori siano ossessionati dai caratteri somatici WASP e dagli occhi chiari, ma gli adolescenti e i personaggi femminili presentano i tipici tratti che per i giapponesi sono sinonimo di bellezza: ovale del viso a cuore con mento graziosamente appuntito, nasino all’insù, boccuccia tirabaci a ciliegina, occhi socchiusi con sguardo assassino.
Gli abiti sono di una ricercatezza estenuante ed estenuata così come le acconciature, fintamente scapigliate ma vistosamente cotonate e congelate con quintali di lacca per capelli.

La bellezza maschile secondo i canoni degli artisti di Final Fantasy XVI

In linea con le tradizioni nipponiche la recitazione dei personaggi è molto interiorizzata fino all’inespressività salvo, ovviamente, che nei combattimenti e in qualche scena madre.
Paradossalmente il personaggio più “congelato” e inespressivo è la protagonista femminile, la bella e affascinante Jill Warrick.
La fanciulla trasuda eleganza da principessa ma vive nell’incubo di un passato terribile. Nel corso dell’adolescenza era stata rapita e a lungo imprigionata. La sua mente era stata plagiata e condizionata per sfruttare i suoi poteri a fini malvagi. La successiva presa di coscienza era stata particolarmente dolorosa, tanto che i rimorsi e i sensi di colpa non l’abbandoneranno per tutta la sua vita.
Gran personaggio, ma nel gioco Jill è sempre imperturbabile col suo rotondo visino da bambola di ceramica smaltata e malgrado i profondi occhioni blu. Per fortuna qui interviene il magnifico doppiaggio di Ilaria Silvestri che sopperisce alla sua fissità da geisha conferendole accenti caldi e vibranti, sempre puntualmente appropriati alle situazioni e alle emozioni del momento.

Jill è comunque assai fascinosa

Infatti, in controtendenza Final Fantasy XVI è il primo gioco della saga completamente localizzato nella nostra lingua e questo non è certo un pregio da poco per un gioco dotato di una mole tanto abnorme di testi: in decenni di esperienza chi scrive non ha mai trovato un gioco con una quantità di parlato in qualche modo paragonabile.
Le impressioni iniziali sono deludenti anche in merito al doppiaggio il quale al primo ascolto sembra, erroneamente, tirato via con superficialità. Invece quando il gioco parte davvero si comincia a percepire la cura con cui è stato realizzato. Anche qui siamo fuori misura: i doppiatori principali sono una ventina ma, per scoprire che le “voci addizionali” sono varie decine, basta scorrere i credits finali o consultare l’elenco ufficiale.
Anche il Clive di Alessandro Capra non sbaglia un’intonazione e presto si avverte che tutto il cast lavora egregiamente, probabilmente anche divertendosi e forse lavorando (una volta tanto) col gioco che scorreva davanti ai loro occhi. Visto il numero spropositato di NPC con qualcosa da dire, i doppiatori si sono ingegnati per modificare voci e intonazioni cercando di differenziarle a seconda del personaggio. Talvolta il risultato è tanto divertente quando paradossale. Capita, per esempio, che a un quarantenne venga appioppata una voce modellata su quella dei “vecchietti del West” del mitico Lauro Gazzolo. Comunque nel complesso lo sforzo ha successo e testimonia la professionalità mimetica degli attori.

Incontrare un Eikon concorrente non è mai una passeggiata

La perfezione non è di questa terra e, in definitiva, neanche Final Fantasy XVI è esente da pecche. Queste però scompaiono di fronte all’imponenza del respiro epico, all’eccellenza narrativa, al profluvio di inventiva, alle meraviglie tecniche e allo straordinario impegno che trasuda da ogni pixel del gioco.

IL VERDETTO

8.5
A CHI POTREBBE PIACERE?
A chi vuole giochi sempre più grandi e spettacolari.
PRO
  • Lore, caratterizzazioni, narrativa e scrittura ad altissimi livelli
  • Realizzazione tecnica al top
  • Vario e appassionante
  • Combat system spettacolare, ricca gamma di abilità
  • Eccellente doppiaggio italiano
CONTRO
  • Troppo guidato malgrado l’enorme estensione del mondo di gioco
  • Assenza di scelte, di enigmi, di misteri
  • Crafting, looting e commercio limitati e superflui
  • L’eccesso quantitativo produce qualche momento di stanchezza
  • Molti lo giudicheranno troppo facile

DATI DEL GIOCO

Piattaforme: PlayStation 5

Sviluppatore: Square Enix

Distributore: Square Enix

Data di uscita: 22/06/2023

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PEGI: 18+

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