di MATTEO “OLORIN” RIZZUTO, LUCA “D” TAVERNA e “HUGO”
Introduzione: un nuovo inizio…
Il nano pesa, mettendo a dura prova i nostri muscoli mentre lo trasportiamo lungo il corridoio. Bracieri quasi estinti illuminano il cammino, rendendo ancora più sinistra questa parte della fortezza. Il peso morto che ci portiamo dietro non fa nulla per aiutarci: il suono dei suoi stivali che strusciano sulle pietre mi sta facendo diventare matto.
E la puzza! Dannazione, sembra l’abbiano immerso in un barile di pessima birra nanica prima di arrestarlo.
Infine, arriviamo alla stanza. Dentro, una sagoma fin troppo conosciuta ci attende. Cassandra Pentaghast, da Navarra. Il solo nome, fa venire i brividi al più cocciuto degli eretici. Sbattiamo il nano sulla sedia, lieti di toglierci il peso dalle spalle, letteralmente. La Cercatrice ci fa cenno di uscire. L’aria ammuffita e il freddo sono solo due tra i vari incentivi a farlo in fretta. Prendiamo posto ai lati della porta: questa volta, si andrà per le lunghe…
Oh, beh, almeno è una bella storia…
Circa un anno e mezzo fa, Dragon Age: Origins ci aveva aperto le porte al Thedas, un mondo popolato da Uomini, Nani, Elfi, Qunari e Prole Oscura. Un mondo fantastico ma percorso da tensioni estremamente reali: in primis, il razzismo e la diffidenza che contraddistinguono i rapporti fra le varie razze; la paura, verso la magia e il “diverso”, rappresentato dai Qunari e dai Maghi; ed infine, il fondamentalismo religioso, nella forma della onnipresente e repressiva Chiesa di Andraste. Tra dilemmi morali, scelte pesate e pensate, scontri tattici all’ultimo sangue, draghi, streghe delle selve e quant’altro, si snodava una storia che occupa svariate decine di ore con profusione di espansioni e contenuti scaricabili a pagamento. Accolto con voti elevatissimi e meritate lodi, Origins riportava al giocatore quel sapore da gioco di “ruolo” che contraddistingueva i giochi della fine degli anni ‘90, primo fra tutti “Baldur’s Gate”.
Dragon Age 2, spesso accompagnato dal sottotitolo “Rise to Power”, promette un’esperienza unica, simile eppur diversa dal suo predecessore, giocando ancora di più sui contrasti sociali, politici e ideologici che coloravano il mondo di gioco.
Ma ci riesce davvero?
C’è un nuovo Eroe in città!
Quello di Hawke è un nome cui ogni fan della saga fantasy canadese deve cominciare ad abituarsi. Discostandosi parecchio dall’approccio più classico, infatti, BioWare presenta un personaggio in parte predefinito come protagonista di questo seguito. Ecco quindi che scompare completamente l’opzione di scelta della razza dalla schermata di creazione del proprio pg , che contempla unicamente le scelte di sesso e classe. Tale approccio, annunciato fra le primissime news relative a questo titolo, è un grosso salto nel buio per la software house di Edmonton, che non aveva ancora mai rinunciato alla scelta della razza in un suo titolo fantasy.
Il nostro Hawke, quindi, è una sorta di Shepard del mondo di Dragon Age: ci troviamo a controllare un personaggio personalizzabile dal punto di vista del sesso, della classe e dell’estetica; ma anche completamente doppiato, cosa che rende le scene d’interazione con i numerosi NPC molto più coinvolgenti, dal punto di vista di chi vi scrive.
Per quanto riguarda la storia di questo personaggio, ci troviamo di fronte ad una grossa incognita, che rappresenta però la prima, geniale, innovazione che BioWare introduce in questo gioco: di Hawke, infatti, si sa poco, se non che è un profugo del Ferelden, fuggito dal villaggio di Lothering (nome sicuramente familiare ai giocatori di Origins) che il fato, il destino o semplicemente la sua intraprendenza porteranno a diventare il Campione di Kirkwall, una delle tre più grosse città del Liberi Confini. Salvo questi due punti fermi, tutto il resto, cioè il percorso fra questa “partenza” e questo “arrivo”, è definibile dal giocatore tramite le azioni che farà compiere al “suo” Hawke all’interno della trama.
Ed è proprio di questo che andremo a parlare nel prossimo paragrafo…
Di profughi, porti e compagni…
Senza addentrarci troppo nello svolgimento della trama, possiamo dire che si discosta abbondantemente da quella di Origins, adottando forme e tecniche narrative nuove, senza però dimenticare gli argomenti così reali e attuali che avevano reso il primo capitolo tanto coinvolgente.
Il primo cambiamento si incontra già a monte: a differenza di Origins, dove la storia era “in divenire”, Dragon Age 2 letteralmente racconta una storia, nel senso che è proprio la voce di uno dei compagni di Hawke a evocare l’epopea del profugo fereldeniano: a noi giocatori spetta, giocando questo racconto degli eventi legati alla figura di Hawke, la definizione del come egli abbia man mano affrontato le sfide propostegli e come sia infine giunto a ricoprire il ruolo di Campione di Kirkwall. La tecnica impiegata per raggiungere questa raffinata illusione “ottica” è quella della framed narrative, letteralmente “narrativa incorniciata”, che permette di inserire una storia dentro un’altra storia, facendo ampio uso di flashback. In questo senso, la storia di Hawke è composta da una collezione di ricordi, piuttosto che di capitoli come quella del Custode Grigio, ognuno presentato tramite la voce del nano Varric e vissuto in prima persona dal giocatore.
Ma non è tutto: poiché, nel tempo “presente” di Dragon Age 2, cioè quello in cui Varric racconta la storia alla Cercatrice della Chiesa Cassandra Pentaghast, Hawke è una figura di primo piano sullo scenario politico sul cui conto si sprecano le storie e le voci più o meno veritiere, a volte ci ritroveremo a giocare porzioni volutamente “truccate” dal nano per farlo sembrare molto più favolose e eroiche di quanto in realtà non lo siano state. Questo porta a momenti sinceramente esilaranti e con elevata soddisfazione potenziale delle voglie di “pura azione” che possono cogliere dopo aver speso svariati giorni a girovagare per Kirkwall.
Altro cambiamento importante è quello che si ha nella varietà di location visitabili: la maggior parte della trama ha luogo, infatti, nella città-stato di Kirkwall, un tempo principale mercato di schiavi dell’Impero Tevinter e oggi porto di spicco nei Liberi Confini. Il confinamento a Kirkwall e alle aree rurali limitrofe, però, non costituisce un handicap eccessivo per il gioco, nonostante Origins ci avesse abituati a visitare in lungo e in largo il Ferelden. La varietà e numerosità delle quest secondarie disponibili nei vari quartieri, la loro ottima caratterizzazione e le abbondanti opportunità d’interazione con i NPC suppliscono abbondantemente alla possibile “noia” che il visitare le medesime ambientazioni potrebbe far scaturire nel giocatore.
Un capitolo estremamente importante, che sta assumendo man mano sempre più piede nei giochi BioWare, è il rapporto con i compagni del gruppo. Anche in questo caso, si possono notare due differenze con Origins. La prima, meramente numerica e (a nostro avviso) di poco conto: i NPC reclutabili sono, infatti, in numero leggermente minore rispetto al precedente capitolo, ma il sistema di relazioni con loro mantiene e migliora tutto quanto di già sperimentato in Origins.
La seconda differenza è, invece, un grosso passo in avanti, secondo chi vi scrive. In Dragon Age 2, i compagni possono avere due tipi di atteggiamento nei nostri confronti: Amicizia e Rivalità ma, a differenza di Origins, entrambi questi atteggiamenti portano a sviluppare un’abilità unica, mentre il nostro Custode Grigio doveva sempre e per forza preoccuparsi di “prendere per il verso giusto” i suoi compagni per sbloccarne i potenziamenti. Tramite questo approccio, il giocatore è infine libero di agire come più gli pare, conscio che non perderà missioni o opportunità di dialogo con i suoi compagni in base a come sceglie di agire nel mondo di gioco.
Dragon Age 2, quindi, rappresenta a livello di meccaniche di trama e relazionali l’ennesimo centro pieno da parte della compagnia di Edmonton, che riesce ancora una volta a produrre una storia avvincente e dei personaggi epici e pregnanti di cui ci può, effettivamente, importare qualcosa.
Il Gameplay: questo sconosciuto.
Il Combat System e il sistema dei menù
Veniamo ora al punto focale di tutto il gioco: il gameplay e il combat system. Si è discusso molto, nel periodo precedente all’uscita del gioco, di come questo sequel si distanziasse dal predecessore a causa o grazie al gameplay e molti sono stati i pareri contrastanti, che però condividono alcuni dettagli non di poco conto. Prima novità fra tutte, che ha spaventato i più accaniti fans di Origins, è la mancanza di una visuale tattica. Una cattiva comunicazione da parte di BioWare aveva generato il panico fra i giocatori più navigati e sembrava che dovesse crollare il mondo. “Ma come – si diceva – dopo la grande introduzione di questa visuale a volo di uccello in Origins, ora ce la togliete?”
Non è, però, solo questo l’elemento fondamentale della programmazione delle azioni: se da un lato la visuale tattica manca, come succedeva per Origins, con i boss più difficili o anche con i nemici più semplici se si gioca a difficoltà Incubo, anche in DA2 l’utilizzo del pulsante Pausa è frequente e necessario, addirittura di più di quanto succedeva nel predecessore. Perchè questo? È in realtà una conseguenza della frenesia del combat system, che obbliga il giocatore a programmare le proprie azioni con un minimo di pensiero tattico, mettendo il pausa il gioco e limitando quindi la possibilità di combattere i nemici in tempo reale. Poco male, a nostro parere, in quanto le tattiche e le strategie di gioco si nascondono proprio dietro l’utilizzo della Barra Spaziatrice.
Tuttavia, il vero centro di quanto dobbiamo discutere è il combattimento. Come abbiamo già detto, è diventato molto più frenetico e al contempo molto più spettacolare. Vi ricordate i combattimenti contro i boss in Origins? A volte la monotonia era tanta e, per far concentrare maggiormente l’attenzione sul combattimento, oltre al boss spuntavano fuori a ondate numerosi nemici minori. Speriamo di non venire fraintesi in cosa intendiamo con “monotonia”: per noi, questa è la mancanza di effetti spettacolari, che sono stati introdotti al limite dell’immaginabile con Rise to Power. Ora i combattimenti incollano il giocatore davanti allo schermo, tutti, anche quelli contro i nemici più deboli, anche alle difficoltà minori. Ogni cosa, però, ha i suoi pro e i suoi contro: a volte, la frenesia di DA2 è talmente elevata che si perde il senso dell’orientamento e, facilmente, scappa tutto di mano, lasciando il giocatore immobile davanti allo schermo, “prigioniero” della sequenza di auto-attacchi che ogni personaggio compie in combattimento.
Ma lasciamo per un po’ da parte il combattimento per concentrarci su un altro punto importante del gioco, utile per una migliore gestione di tutto quello che incontriamo. Di cosa parliamo dunque?
Dei menù, in particolare dell’inventario e del diario (la sezione nella quale vengono archiviate le missioni da fare, quelle portate a termine e che inoltre contiene il codice). Il menù iniziale, quello che ci fa entrare nel mondo di gioco è molto semplice e diretto, anche se graficamente notevolmente migliore e più artistico rispetto a quello di Origins. Dello stesso genere, diretto e semplice, è anche il menù a cui si può accedere in-game premendo il tasto Esc, che permette anche il salvataggio e il caricamento di file precedenti.
Abbiamo inserito in questa categoria anche la mappa e la mini-mappa, elementi fondamentali del gioco. La mappa, accessibile come sempre con il tasto M, rimane un elemento fondamentale nonostante la sua rivisitazione per adattarsi allo stile predominante, più semplice e lineare, del gioco. Sulla mini-mappa arrivano le note dolenti: dotata di una trasparenza eccessiva, talvolta si confonde con il mondo di gioco obbligando il giocatore, in un certo senso, a usare la mappa grande molto più spesso di quanto non farebbe normalmente. Invece, la mappa del mondo usata negli spostamenti fra le varie aree è molto simpatica, di livello grafico elevato, tanto da sembrare una tavola estratta da qualche graphic novel di ispirazione fantasy.
Senza dubbio però uno tra i menù più importanti è l’inventario, parecchio migliorato e reso conforme con il resto della grafica in DA2. Ora a tutti gli oggetti viene assegnato un punteggio in stelle, su una scala da una a cinque. Cosa ci indica il livello di stelle? L’utilità e la potenza dell’oggetto relativa al livello raggiunto dal personaggio.
Converrete con noi che è molto più comodo che stare a confrontare tutti gli oggetti come succedeva in Origins, anche se in molti hanno criticato questa semplificazione così estrema. L’inventario è stato inoltre aggiornato con una nuova sezione, chiamata Cianfrusaglie, dove il gioco inserisce automaticamente tutto quello che il giocatore trova in giro nel mondo di gioco e che non ha una particolare utilità, dando inoltre al giocatore la possibilità di inserire in tale categoria gli oggetti che non trova più utile a prescindere dal numero di stelle. Come succedeva nel primo titolo della saga, l’inventario può essere espanso comprando gli Zaini che trovate sparsi per tutti i mercanti di Kirkwall e dintorni.
Arriviamo, infine, ad altre interfacce notevoli e importanti: prima di tutto parliamo della schermata di personalizzazione del personaggio. Anche se con DA2 la scelta è obbligata (Hawke è un umano e non possiamo scegliere di utilizzare un elfo o un nano come accadeva in Origins), la personalizzazione facciale del personaggio è elevata e ben curata, senza nulla da invidiare al predecessore.
Un’altra personalizzazione, che è stata particolarmente curata, è l’avanzamento dei personaggi di livello, che si compone essenzialmente di due schermate: quella dei punti caratteristica (molto simile a quella presente in Origins, dove troviamo tutte le caratteristiche quali Astuzia, Forza, Destrezza, Magia, Costituzione e Volontà), in cui possiamo spendere tre punti caratteristica per ogni salita di livello; e quella dei talenti del personaggio, molto più curata e graficamente elevata rispetto a quella orizzontale e lineare di Origins.
Qui troviamo i vari alberi di abilità, ora effettivamente “alberi” e non più linee rette, da dove selezionare i talenti e i poteri che il nostro personaggio e i suoi compagni useranno in battaglia. Attenzione, però: i punti fornitici dal gioco man mano che saliamo di livello non bastano a sbloccare tutti i poteri elencati, per cui scegliete oculatamente!
Le Classi
Il Mago
La classe cardine di ogni gioco di ruolo è presente anche nell’ultimo sforzo BioWare e con una veste mai vista fin’ora. Generalmente quando si pensa al mago in un gioco di ruolo fantasy viene subito alla mente un personaggio che si mantiene a distanza dal combattimento mentre recita formule arcane per far piovere sul nemico ogni sorta di magia.
In DA2 il mago assume una nuova dimensione, diventando di fatto quella che con DA:O era prerogativa esclusiva del guerriero arcano: il vostro mago è una vera e propria macchina da guerra capace di far piovere fuoco e fiamme sui nemici mentre picchia quelli più vicini a suon di bastonate. Benchè ovviamente non raggiunga la resistenza di un guerriero o la precisione di un ladro, il mago riesce a combinare perfettamente attacchi dalla distanza e combattimento ravvicinato; giocando col mago, infatti, più di una volta vi capiterà di colpire il nemico con un incantesimo per poi scattare verso di lui per finirlo con una bastonata fiammeggiante. Ovviamente, nulla vieta di utilizzare questa classe nel modo classico, limitandosi a bersagliare i nemici da lontano, ma crediamo che in molti vorranno provare l’ebrezza di lanciarsi nella mischia col proprio bastone almeno una volta.
Oltre al sopracitato combattimento ravvicinato, il mago ha a sua disposizione un set di poteri davvero potenti e ben caratterizzati e le specializzazioni che potrete sbloccare nel corso del gioco aggiungeranno un ulteriore spunto tattico in quanto vi permetteranno una maggiore incisività negli attacchi o nel supporto del party. Più delle altre classi il mago infatti è il vero protagonista tattico delle battaglie: è lui che indica l’andamento delle battaglie scegliendo cosa e come attaccare.
Per concludere (ci sarebbe molto da dire ma non vogliamo rovinare la sorpresa) crediamo che il vero protagonista di questo nuovo capitolo della saga BioWare sia proprio il mago, che saprà accontentare chi vuole un combattimento più ragionato (niente scatti che affettano i nemici in quantità industriali o salti acrobatici e click forsennati) sia coloro che vogliono davvero scatenare un inferno contro i propri nemici (è presente una magia simile).
Il Ladro
Al secondo posto per cambiamenti apportati e differenze con Dragon Age: Origins troviamo il ladro. Chi ha giocato a Origins, ricorderà senza dubbio della somiglianza tra ladro e guerriero, classi che differivano essenzialmente per la mancanza di furtività e la possibilità di scasso e/o di furto per il Guerriero e per la mancanza dei rami-abilità di Arma e Scudo e di Arma a Due Mani per il ladro. Il che comportava, per quei pochi che hanno giocato come ladro, dover sviluppare in maniera quasi obbligata il ramo di abilità “Doppie Armi”, dato che quello dell’Arciere era poco vantaggioso e potente.
In DA2 il ladro è davvero una classe a sé stante. Pieno di agilità, un ladro è capace di sviluppare come in Origins due rami di abilità legati principalmente alle armi, quello della Doppia Arma e quello dell’Arciere: scelta che ora è davvero sensata, dato che l’Arciere è diventato una macchina da guerra potente quasi come un guerriero che elimina i nemici a forza di mazzate.
Gli altri quattro rami d’abilità sono delle vere e proprie rivelazioni, che incrementano e valorizzano l’Astuzia e la malvagità subdola di un buon ladro, incrementando utilità ed efficacia di bombe e trappole, capaci di stordire o bloccare i nemici. In questo senso, senza spoiler, possiamo dirvi che le tre specializzazioni disponibili per questa classe valorizzano ulteriormente le principali caratteristiche del ladro, senza farlo sconfinare in ruoli che non gli competono all’interno del gruppo.
La velocità di un Ladro e la sua rapidità a volte possono confondere ma, vi assicuriamo, una volta “fattoci l’occhio” vi divertirete davvero tanto nel pungolare costantemente i nemici con le vostre mosse feline.
Il Guerriero
Nonostante sia meno differente dalla sua precedente incarnazione rispetto alle altre due classi, anche il guerriero presenta alcune sostanziali modifiche. Il ruolo all’interno del gruppo non è cambiato: ci troviamo ancora di fronte al carro armato del party, il primo a gettarsi nella mischia e, spesso, l’ultimo a uscirne dopo aver incassato svariate decine di colpi. Non che questo faccia paura al guerriero che, anzi, da il meglio di sé proprio al centro dello scontro, dove può tener sotto controllo tutta la situazione e, all’occorrenza, stroncare sortite nemiche verso i maghi o gli arcieri del gruppo.
Le grosse differenze si riscontrano a livello, invece, di rami-abilità. La prima, che salta subito all’occhio, è l’introduzione di numerosi nuovi rami dedicati, principalmente ad abilità passive, che forniscono bonus di diverso tipo agli attacchi o difese del guerriero e/o dei suoi compagni.
Abbiamo quindi rami come Avanguardia, Guerrafondaio e Condottiero, che si vanno ad aggiungere ai più familiari Spada e Scudo e Armi a Due Mani nel potenziare l’efficacia del guerriero come leader carismatico o come soldato temprato da mille battaglie. All’ultimo ramo di abilità è legato il cambiato più grosso, a parer mio, riscontrabile per questa classe: il ramo abilità Difensore. Questa serie di talenti e poteri, attivi, passivi o prolungati, è ora slegata dal ramo d’abilità di Spada e Scudo. I potenziamenti generati da questo ramo di abilità si concentrano, come suggerisce il nome, sull’aumentare sia le difese più “fisiche” sia quelle a effetti magici del personaggio. Tra le specializzazioni, tornano il Distruttore, il Templare e il Berserker, mentre l’assenza del Campione, data l’ampia gamma di modalità prolungate dagli effetti simili disponibili per gli altri rami d’abilità, non si nota troppo.
Per concludere, il Guerriero è un piacevole mix di nuovo e diverso, che non disorienta affatto i giocatori abituati a Origins, al contempo dando un benvenuto ricco d’azione e immediatezza ai neofiti del genere.
Aspetti tecnici
Grafica
La vera differenza con Origins si ha, invece, a livello di design dei livelli, degli oggetti e dei personaggi di gioco, oltre che dei menù in game. Qui si nota, veramente, lo sforzo di BioWare nel voler date alla saga di Dragon Age un look tipico, speciale, che possa essere immediatamente riconoscibile. E’ in questo senso che si inseriscono i cambiamenti, piuttosto pesanti e decisi, all’aspetto di due delle quattro razze presenti in gioco, gli Elfi e i Qunari: i primi si fanno più gracili e androgini nei tratti facciali, mentre i secondi assumono una maggior possanza fisica e svariati tratti somatici atti a evidenziare il loro essere “alieni” rispetto alle altre razze. Anche Kirkwall è decisamente differente, sia per architettura che per atmosfera, dai villaggi e dalle città del Ferelden: gironzolando per le sue vie, si ha l’impressione di una città di epoca rinascimentale, rispetto al look da Alto Medioevo che caratterizzava Denerim e Redcliffe.
A livello di prestazioni grafiche, invece, Dragon Age 2 non si discosta troppo dal suo predecessore e, anzi, qui si hanno alcune note dolenti. Come già intuibile dall’annuncio, qualche mese fa, dei requisiti minimi, Dragon Age 2 non ha necessariamente bisogno di computer all’ultimo grido per girare più che bene. Giocato con le DirectX 9, il gioco ha una qualità grafica accettabile e, anzi, leggermente superiore a quella di Origins, tanto da far pensare che sia stato sviluppato principalmente per adattarsi a tale tecnologia piuttosto che alle sue più recenti incarnazioni. La qualità grafica rimane, però, comunque inferiore ad altri titoli usciti in questi mesi, anche per la medesima Software House (qualcuno ha detto Mass Effect 2?).
A rafforzare questa impressione, nonostante la presenza di opzioni grafiche specificatamente pensate per le DX11 (ad esempio, l’Occlusione Ambientale), si aggiungono i numerosi problemi riscontrati da quegli utenti che hanno provato a giocare avvalendosi delle DirectX 11 ed il rilascio da parte di BioWare, in concomitanza con il Day-One Americano, di una “Textures Patch”, un pacchetto di textures HD aggiuntive non incluse nel disco o nelle versioni digital download.
Sonoro
Il sonoro di DA2 è in una parola, eccelso. Eccelsa è la musica che, poco meno di un mese fa, era stata criticata proprio sulle pagine di questo sito.
Inon Zur tuttavia ci ha fatto ricredere: dopo svariate ore di gioco e ascolto “in-game” di queste musiche, possiamo dire che la colonna sonora ha successo in ogni tentativo di suscitare emozioni nell’ascoltatore, trasmettendo quindi sensazioni e stati d’animo, o anche solo atmosfere “ambientali”, in maniera estremamente soddisfacente. A suoni secchi e roboanti di guerra e di battaglia, con gran predominanza di percussioni e ottoni, si affiancano musiche divertenti, ritmate e un tantino orientaleggianti, molto orecchiabili e caratterizzate da un ampio utilizzo di archi e fiati. Il Tema Principale del gioco è molto delicato, quasi triste, e riprende con i tromboni quello già presente in Origins. La voce e l’estensione vocale di Aubrey Ashburn colorano ulteriormente il prodotto sensazionale del compositore israeliano naturalizzato americano, dandogli a turno toni scuri, freddi oppure chiari e caldi, a seconda della necessità della traccia ma, soprattutto, degli ambienti e dei momenti storici che va a sottolineare.
Menzione d’onore, come in ogni titolo BioWare, merita il parlato dei vari personaggi, non ultimo quello del protagonista Hawke. All’ottima sincronizzazione labiale, si aggiunge un cast di interpreti di prima qualità, che riescono a infondere vita e carattere a altrimenti freddi e distanti ammassi di pixel e poligoni tridimensionali.
RPG o non RPG? Questo è il dilemma!
Il titolo di questo paragrafo è forse la domanda che con più frequenza ha accompagnato l’uscita delle news su Dragon Age 2. Per rispondere a tale quesito, tuttavia, dobbiamo prima specificare, per chi magari non ha familiarità col genere, cosa vuol dire RPG. RPG è l’acronimo di Role Playing Game, ossia gioco di ruolo. Nel gioco di ruolo il giocatore impersona un personaggio (stabilendo razza, ruolo ecc.) in un mondo fittizio e, attraverso la narrazione di un master ed un set di regole definite a priori, muove il proprio personaggio all’interno del mondo interagendo con esso ed i suoi abitanti.
Stabilito, quindi, cosa si intende per gioco di ruolo, torniamo alla domanda iniziale: Dragon Age 2 è un gioco di ruolo? Vediamo di rispondere o, almeno, provarci…
Dragon Age 2 ha in sè tutto ciò che oggi stabilisce i canoni del videogioco di ruolo: una storia, un’ambientazione e dei personaggi con cui interagire; una crescita graduale del proprio personaggio; la gestione di un party (gruppo) di eroi; combattimenti che sono influenzati dal livello e dalle abilità del personaggio e, in generale quindi, calibrato su un set di regole inventate appositamente per esso. Ma Dragon Age 2 va oltre, raccontando una storia in cui il personaggio non solo segue gli eventi narrati, ma li modifica a seconda delle sue scelte creando di fatto storie parallele diverse per ogni giocatore.
Ma allora perchè chiedersi se è o meno un RPG? La domanda è, ovviamente, più complessa di quel che sembra.
Oggi, per i giocatori più giovani, è difficile realmente realizzare qualcosa che sia diverso dai titoli che, de facto, hanno fatto la storia recente del genere: da Oblivion a Gothic, passando per i più recenti Two Worlds, The Witcher e Mass Effect. Tuttavia tutti questi titoli, se analizzati correttamente, non si possono definire RPG Classici. Non presentano, infatti, molte delle peculiarità che caratterizzavano l’RPG; il set di regole si è fatto più “blando” e ognuno di essi si è concentrato più su alcuni singoli aspetti degli RPG (Oblivion e Two Worlds sulla libertà d’azione; The Witcher e Gothic sull’ambientazione; Mass Effect sulla trama). Ogni titolo, fra questi, rientra nei canoni generali dei giochi di ruolo: c’è una storia; il personaggio migliora le proprie abilità viaggiando e combattendo nel mondo di gioco; eccetera.
Nel contempo, però, si è perso altro: i combattimenti si son fatti più coreografici e d’azione perdendo (almeno in parte) la regolamentazione del combattimento tramite statistiche e abilità (al punto che anche un personaggio di basso livello può uccidere una creatura potente, se il player è abbastanza bravo con pad o tastiera) ed in generale virando verso una semplificazione del genere e dei contenuti. Alcuni dei giocatori più vecchi sostengono che quando si parla di RPG si deve guardare a giochi come Baldur’s Gate che, avendo set di regole derivanti dalla loro controparte cartacea (ossia D&D), sono davvero degli RPG. Tuttavia ci viene da pensare se davvero delle regole e un lancio di dadi (anche se calcolato dal pc) possano di per sè essere garazia di un ottimo RPG.
Crediamo che in realtà ciò che può realmente stabilire oggi, come in passato, se un gioco è un RPG o meno è l’immedesimazione ed il coinvolgimento del giocatore. E’ qui, infatti, che risiede la vera essenza del gioco di ruolo: non sono le statistiche o i numeri, la scelta di razza o classe e quanti lanci di dadi servono per uccidere un nemico. Ecco perchè, alla fine, ci sentiamo di definire DA2 un gioco di ruolo a tutti gli effetti: non si potrà scegliere la razza e magari il combattimento è un pò troppo d’azione rispetto al suo predecessore, ma bastano le prime battute di gioco per immergersi totalmente in un mondo fantastico, in cui NOI siamo il vero campione di Kirkwall.