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Rousseau

Discussione in 'Lo scannatoio' iniziata da Alice, 29 Luglio 2017.

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  1. Alice

    Alice Livello 1

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    Ribadisco che quanto dicevo nell’altro topic con Rousseau non c’entrava nulla ma siccome f5f9 lo definisce uno che non aveva capito niente ho pensato che forse se ne potrebbe discutere. Faccio un breve preambolo su cosa intendevo nell’altro thread giusto per chiarezza: nelle società arcaiche, dove il mito dominava sulla storia, la classe mercantile era subordinata a quella guerriera e sacerdotale, non il contrario. Il punto non era se il mondo un tempo fosse migliore o peggiore ma che gli uomini concepivano la realtà in maniera differente. L’importante differenza rispetto al produttivismo moderno è che anticamente non ci sarebbe stata perversione più singolare di quella che regna oggi in cui il mezzo si fa fine. Il lavoro cessa di significare qualcosa che si impone unicamente in vista delle necessità materiali dell’esistenza e a cui non deve esser accordato uno spazio di quel che la normalità di siffatte necessità, a seconda dell’individuo e del suo rango, lo richieda, ma lo si assolutizza appunto, sotto le specie di un valore in sé, associandolo simultaneamente al mito dell’attivismo produttivo parossistico. In più si viene ad una vera e propria inversione: la parola “lavoro” ha sempre designato le forme più basse dell’attività umana, quelle appunto che sono condizionate più univocamente dal fattore economico. Tutto quanto non si riduce a simili forme è illegittimo chiamarlo lavoro; la parola da usare è invece azione: azione, e non lavoro, è quella del capo, dell’esploratore, dell’asceta, dello scienziato puro, del guerriero, dell’artista, del diplomatico, del teologo, di chi pone una legge o di chi la infrange, di chi è spinto da una posizione elementare o guidato da un principio, del grande imprenditore e del grande organizzatore. Ora, mentre in ogni civiltà orientata tradizionalmente  s’intese dare un carattere di azione, di creazione, di “arte” perfino al lavoro (per il che, ad esempio, ci si può riferire all’antico mondo corporativo), esattamente il contrario accade nella presente civiltà economica: perfino all’azione – a ciò che può esser rimasto di degno di tale nome – si tende a dare, oggi, un carattere di “lavoro”, quindi economico e proletario, quasi per un piacere sadico della degradazione e della contaminazione.

    Chiusa parentesi e iniziando con Rousseau c’è una questione di fondo in cui io e il tasto f5 credo concordiamo: l'uomo non è buono per natura e non sono state le leggi imposte dalla società a corromperlo. Homo homini lupus è l'unica regola universale: i rapporti umani sono sempre conflittuali perché mossi dal desiderio di sopraffazione reciproca e se gli uomini vivono insieme in società è solo per convenienza. Rousseau nell’affermare il contrario aiutò a far da base ideologica per tutta una cultura 'pop' esplosa negli anni '60 nella quale regnava il mito del buon selvaggio, il ritorno ad una specie di Giardino dell'Eden laico e regressioni analoghe condite da tante droghe. I risultati parlano da sé. Ma Rousseau a mio avviso fu anche un uomo lungimirante e un grande moralista. Riporto dei passi tratti dal Discorso sulle scienze e sulle arti.

    “Mentre il governo e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli uomini consociati, le scienze, le lettere e le arti, meno dispotiche e forse più potenti, stendono ghirlande di fiori sulle catene di ferro ond’essi son carichi, soffocano il loro sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravan nati, fan loro amare la loro schiavitù e ne formano i così detti ‘popoli civili’”.

    “Se le nostre scienze son vane nell’oggetto che si propongono, sono ancor più pericolose per gli effetti che producono”.

    “Popoli, sappiate dunque una buona volta che la natura ha voluto preservarvi dalla scienza, come una madre strappa un’arma pericolosa dalle mani del figlio”.

    “Le apparenze di tutte le virtù, pur senza il possesso di alcuna…La preferenza degli ingegni piacevoli sugli utili…Hanno messo una gioventù frivola in grado di dare il tono alla vita”.

    “Che penseremo mai di quei compilatori di opere, che hanno indiscretamente infranta la porta delle scienze e introdotto nel loro santuario una plebaglia indegna d’accostarvisi…Socrate non aiuterebbe mai ad accrescere questa folla di libri che ci inonda d’ogni parte…I disordini orribili che la stampa ha già prodotto in Europa”.

    “Da che i sapienti han cominciato ad apparir fra noi, dicevan i loro propri filosofi, le persone dabbene sono scomparse…Senza saper discernere l’errore dalla verità, possederanno l’arte di renderli irriconoscibili agli altri con argomenti speciosi…A sentirli non li si piglierebbe per un branco di ciarlatani, gridanti ognuno dal canto suo sopra una piazza pubblica: ‘Venite da me, io solo non inganno nessuno’?…Il falso è suscettibile d’una infinità di combinazioni; ma la verità non ha che un sol modo di essere”.

    “Oggi, che le ricerche più sottili e un gusto più fine hanno ridotto a princìpi l’arte di piacere, regna nei nostri costumi una vile e ingannevole uniformità, e tutti gli spiriti sembrano esser stati fusi in uno stesso stampo: senza posa la civiltà esige, la convenienza ordina; senza posa si seguono gli usi e mai il proprio genio. Non si osa più apparire ciò che si è…Che se per caso, fra gli uomini straordinari per il loro ingegno, se ne trovi qualcuno che abbia fermezza nell’anima e che rifiuti di prestarsi al genio del suo secolo e di avvilirsi con produzioni puerili, guai a lui! Morrà nell’indigenza e nell’oblio”.

    “Gli antichi politici parlavano senza posa di costumi e di virtù: i nostri non parlano che di commercio e di danaro…un uomo non vale per lo Stato che il consumo che vi fa…i Principi sanno benissimo che tutti i bisogni che il popolo si dà, sono altrettante catene di cui si carica… qual giogo potrebbe imporsi ad uomini che non han bisogno di nulla?…L’anima si proporziona insensibilmente agli oggetti che l’occupano”.

    Pur non essendo pienamente d’accordo sta di fatto che già a metà del 1700 Rousseau aveva predetto alcune delle conseguenze più devastanti della democrazia moderna. Si oppone allo scientismo che oggi va per le maggiori (si opponeva alla scienza direttamente a dirla tutta), anticipa la società dello spettacolo con le sue futilità, il prevalere dell’apparire sull’essere (“Le apparenze di tutte le virtù, pur senza il possesso di alcuna”). Si pensi solo alla selfie generation, alle reti sociali delle solitudini connesse nel web e disconnesse dalla realtà le quali assumono esse stesse la funzione di specchio che riflette su scala planetaria l’immagine alienata e il profilo del consumatore solitario e cosmopolita, digitalizzato e fashion addicted. Ogni giorno più schiavo, ogni giorno più convinto di essere libero, ogni giorno più un selfie della gleba.

    Sottolinea come l’eccesso di comunicazione e di divulgazione abbia dato spazio a ogni tipo di ciarlatani e come la parola possa essere fonte di ogni falsità. Si scaglia contro l’omologazione che oggi regna sovrana grazie alla globalizzazione mortificando soventemente il merito e l’ingegno. Ma uno dei punti in cui fu più profetico sta proprio nel prevedere in cosa si sarebbe fondata la società del futuro: l’introduzione di bisogni indotti di cui l’uomo non aveva mai sentito la necessità. Un mondo in cui “l’offerta crea la domanda” e dove la stragrande maggioranza degli oggetti che ci circondano e plagiano la nostra mentalità sono del tutto superflui ma essenziali al meccanismo che ci domina e che ormai è uscito fuori dal nostro controllo: noi non produciamo più per consumare ma produciamo perché il meccanismo possa costantemente autoriprodursi e autorafforzarsi.
     
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  2. f5f9

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    non concordo :D , vediamo se riesco a far capire cosa penso:

    in tempi "arcaici" e non "arcadici", molto semplicemente le società erano assolutamente piramidali come i branchi animali, i principi e/o le oligarchie erano preda del più esasperato "consumismo" e riempivano le loro magioni con tutti i possibili segni di ricchezza e potere
    il popolino, semplicemente, non aveva nessuna speranza di riscatto sociale, al massimo poteva sperare nella propria sopravvivenza e in quella della prole, quindi non aveva spazio neppure per immaginare di potersi permettere di più
    inoltre regnanti e potenti inculcavano concetti tipo "Dio, Re, Patria, Lavoro" proprio per usarli come strumento di controllo ed evitare che qualche "stravagante" pensiero provocasse balzi eversivi in avanti
    in fondo il mezzo è sempre stato il fine
    così per millenni fino a quelli che i considero gli "scossoni": la nascita del cristianesimo, ossia del concetto più eversivo di tutti: "gli uomini sono tutti uguali" (splendido ma purtroppo irreale) e la rivoluzione industriale che ha brutalmente allargato la base di coloro che potevano permettersi anche qualche bene superfluo
    le varie rivoluzioni francesi, russe ecc. mi sembrano più effetti collaterali che vere innovazioni...poi per carità, qui al bar stiamo vergognosamente semplificando, le cose cambiano sempre in maniera graduale
    tutto questo fino a oggi
    in questi tempi le gerarchie sono sempre salde ma i confini tra le classi sempre più sfumati
    io sono convinto che l'avidità compulsiva derivi semplicemente dalla ricerca di sicurezze per sé e la prole
    e che sia innata, solo che oggi abbiamo qualche possibilità in più di accedere a beni che i nostri avi manco potevano sognare
    e i vari brezos, soros e gates non fanno altro che sfruttare la situazione dopo aver preso il posto dei re, dei guerrieri e dei sacerdoti...
    tutto cambia perché nulla cambi (la più banale delle cit.! :animier: )
    in realtà il sintomo che personalmente più reputo allarmante è un altro, questo:
    http://www.corriere.it/salute/17_luglio_26/crolla-numero-spermatozoi-uomini-occidentali-a-rischio-vita-umana-terra-3a0c9208-71d3-11e7-9029-c4822e477054.shtml?refresh_ce-cp

    come a dire: era meglio se rimanevamo dei "duri" da "dulce e decorum est pro patria mori"?
    :unsure: o no?
    (chiedo scusa ma, al mio confronto, il vecchio h.p, il vecchio giacomo e il vecchio arthur erano degli inguaribili ottimisti :asd: )
     
  3. Alice

    Alice Livello 1

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    Se non vuoi limitarti alle chiacchiere da bar leggitelo quel saggio che ti ho linkato perché fartene un riassunto da forum è impossibile vista la vastità dell’argomento trattato. Sempre se ti interessa approfondire come ragionavano gli antichi e le antitetiche differenze col mondo moderno che per me sono innegabili. La rottura col mondo della tradizione (bisogna anzitutto sapere cosa intendo per tradizione onde capire di cosa sto parlando) è di natura spirituale e se vuoi escludere questa dall’equazione mi è impossibile stare a discuterne. La visione moderna della vita, nel suo materialismo, ha tolto al singolo ogni possibilità di conferire al proprio destino qualcosa di trasfigurante, di vedervi un segno e un simbolo. Nelle civiltà di tipo organico si faceva parte di qualcosa, pensato come un ordine universale, pur appartenendo ai gradi più bassi della scala gerarchica (chiamala pure piramide se preferisci) mentre oggi il singolo non ha alcun appiglio all’infuori del perseguire l’emancipazione economica, fallita la quale, sta a sprofondare nella disperazione di una vita vuota e insensata considerato uno scarto del sistema, possibilmente senza averne alcuna colpa (uso il termine sistema visto che di società non si può neanche più parlare). Grazie ai progressi tecnici c’è più benessere, certo, ma considerare la vita solo in termini di benessere è bestialità, non in senso dispregiativo ma letterale, perché può andar bene solo per il bestiame. Infatti gli uomini non ci riescono e malgrado non gli sia rimasto nient’altro in cui credere si rifugiano in surrogati come la paccottiglia new age o qualcos’altro che possa fungere da palliativo.

    Quando Rousseau ritiene infausta la scienza tecnica viene subito voglia di tacciarlo d’oscurantismo ma è anche vero che la meccanicizzazione ad oltranza toglie quasi senza residuo alle varietà principali del lavoro quel che in esse poteva avere un carattere di qualità, di arte, di esplicazione spontanea di una vocazione, facendone invece qualcosa di affatto disaminato. Per di più oggi si è passati dalla «meccanizzazione» alla robotizzazione del lavoro, quindi alla sua informatizzazione, al lavoro nella Realtà Virtuale, come la New Economy. La proletarizzazione della vita ha raggiunto proporzioni tali che anche la storia viene vista solo in quest’ottica (e ad essa bisognerebbe tornare ad affiancare un sapere metastorico). E’ ciò che Nietzsche disse con grande acume: “Plebe in alto, plebe in basso! Che cosa significa oggi ancora « Povero» e «Ricco?», Io disappresi a distinguere gli uni dagli altri.”

    Al contrario di quella moderna una civiltà di tipo tradizionale è necessariamente aristocratica. In molti oggi si lamentano della mediocrità e il piattume delle classi dirigenti ma in pochi pensano all’incapacità che abbiamo oggi nel concepire un tipo umano più elevato del “lavoratore”. Tra gli spunti che ancora oggi si possono trarre da Rousseau penso ce ne sia uno particolarmente interessante: l’unica vera possibilità di riscatto oggi per le classi sfruttate sarebbe quella di emanciparsi da tutti i bisogni indotti, spezzando così il circolo vizioso del nostro sistema fagocitatore e mostrando in questo, in una mancanza di bramosia, una superiorità nei confronti di chi sta economicamente al di sopra di loro. Ma ciò è molto lontano dal verificarsi: oggi nel mondo una minoranza della popolazione possiede tutto. Quanto sarà? Il 10%? Ma le persone invece di pensare che il mondo così non può funzionare pensano a voler essere in quel 10%
     
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  4. D

    D Ronin Ex staff

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    Credo che questo passaggio riassuma il problema della generazione attuale, e del perché più di ogni altra è così propensa all'autodistruzione.
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 30 Luglio 2017
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  5. f5f9

    f5f9 si sta stirando Ex staff

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    babba bia che casino! :asd:
    in ogni visione c'è qualche barlume di verità (forse addirittura nella mia), ma ci sono troppe variabili, al vero succo non potrebbe arrivare nemmeno il mitico watson di ibm
    mi unisco agli applausi di @Dper il concetto:

    ma, alla fine, mi sembra che avvalori la mia tesi: ieri era la casta sacerdotale e guerriera, oggi sono quelli di silicon valley, la principale differenza è che, ieri, la speranza di entrare nell'olimpo era impensabile, oggi c'è chi si illude di potere (e qualcuno addirittura ce la fa)
    sotto un tetto di paglia e dormendo sulla terra battuta (e umida) è ben più facile sentirsi in simbiosi con la natura che vivendo in un appartamento col riscaldamento centrale
    e la beghina che sgrana il rosario trova conforto spirituale, ma non si rende conto di essere uno strumento nelle mani di una casta religiosa
    e, francamente, il termine "tradizioni" mi raggela in qualunque accezione venga declinato: visto che (ripeto) tutto cambia perché nulla cambi, l'approccio critico al pensiero e alle azioni delle generazioni precedenti (cfr. integralismo islamico) dovrebbe sempre essere praticato
    infine: non facciamo di tutta l'erba un fascio: il QI della maggioranza è quello che è, anche se lo diceva "quello là", che il popolo sia bue è innegabile, per fortuna c'è sempre qualcuno fuori dal coro che, magari, lascia il posto da elettrotecnico per mettere su una piccola piantagione e alla sera, dopo il lavoro, si legge un buon libro invece di guardare il grande fratello
    (quanto me piasce 'st'antropologia da bar sport! :yes )
     
  6. D

    D Ronin Ex staff

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    Non sono particolarmente d'accordo. La "tradizione", nel senso più ampio del termine, è il collante di ogni società funzionante. Togliendo la tradizione e non sostituendola con un qualcosa di altrettanto forte, crei solo il caos.

    Attualmente la società occidentale sta collassando su se stessa proprio perché sono state tolte le fondamenta delle tradizioni (religiose, ideologiche ecc.) sostituite da un sistema consumistico in cui il mezzo (il denaro) è diventato l'unico fine.
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 30 Luglio 2017
  7. Alice

    Alice Livello 1

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    Uso la parola tradizione nella sua accezione in senso largo così come viene utilizzata da Renè Guenon, Ananda Coomaraswamy e altri studiosi. Per chiarire leggermente cosa intendo (anche se non è sufficiente) posso citare proprio l'inizio di quel saggio che avevo linkato nell'altro topic:

    Nel linguaggio comune il termine Tradizione ha ormai assunto il significato di consuetudine, di abitudine e di costume. Quando si parla di Tradizione ci si riferisce a qualcosa che è appartenuto e che appartiene al passato lontano, il cui ricordo assume oggi solo una forma folcloristica. Un esempio ce lo offre il Natale, del quale rimane attuale solo l’aspetto consumistico, tanto che per la maggioranza delle persone ha ormai perso il valore sacro che possedeva in origine. Non è assolutamente questo il senso e il valore, che si deve attribuire alla Tradizione, in quanto essa è l’insieme di valori eterni, sacri ed incorruttibili. Passando all’esame del mondo tradizionale va subito affermato che esso conosce un’unione, un collegamento effettivo, tra la realtà divina e quella umana, tra spirito e materia. Questa unità né conosce né concepisce la scissione che è propria al mondo moderno, scissione tra sacro e profano. Per la Tradizione la partecipazione al sacro è il fondamento di tutta la vita, personale e collettiva, divenendo un’incessante ricerca e ascesa. La stessa Natura con i suoi ritmi e le sue leggi, è concepita come la manifestazione visibile di un ritmo e di un ordine superiore. Tra cielo e terra, tra Dio e uomo, non c’è alcuna separazione o distacco, bensì una vera e propria "similitudine", scorgendo nel secondo il riflesso del primo. Per la dottrina tradizionale, i fenomeni e le forze della natura vanno percepiti come l’espressione di una realtà superiore in quanto simboli atti a spiegare la conoscenza non umana. Premesso questo, si può affermare che l’uomo tradizionale, a differenza dell’uomo moderno, non ha una concezione elementare della Natura, ma al contrario possiede una percezione simbolica e spirituale della stessa.

    Al luogo dell’utopia materialista e progressista dell’ "evoluzione", la civiltà tradizionale conosce una verità opposta: la visione ciclica ed eterna. "Dalla nobiltà delle origini", nello scorrere del tempo, si venne a creare una involuzione. Dalla perfezione dell’origine, infatti, si verificò una caduta dovuta alla dequalificazione dell’uomo, che originariamente non era, come vuol farci intendere la moderna teoria evoluzionista, un essere animalesco, ma al contrario un essere migliore di quello attuale: un "più-che-uomo", un semidio. Così se per la scienza moderna, attraverso la sovversiva teoria evoluzionistica dell’uomo, gli uomini da stati inferiori si sono sempre più evoluti, per la cultura tradizionale da stati superiori originari gli esseri sono decaduti in stati sempre più condizionati da fattori terrestri e materiali. Questa caduta, determinata dal prevalere dell’elemento umano e mortale, è conosciuta nella memoria di vari popoli come "l’oscuramento degli Dei", cioè il ritirarsi delle influenze celesti e l’incapacità da parte dell’uomo di non sapere più attrarle verso sé.

    Vi sono, quindi, due modi di intendere e di interpretare la Storia. Da una parte quello moderno e progressista che considera il tempo come un ordine di avvenimenti successivi, misurabili come una quantità, con un prima e un dopo, che procede secondo un ritmo numerico e cronologico. Dall’altra vi è il modo tradizionale, ciclico, simbolico, che guarda allo sviluppo e al tramontare delle civiltà. Dal libro di Esodo "Le opere e i giorni" possiamo ricavare la concezione che gli antichi avevano della Storia divisa in quattro età. Per loro il tempo non scorreva uniformemente e indefinitamente, ma si ripartiva in cicli o periodi, ciascuno dei quali aveva un proprio significato e una propria specificità. Ognuno di questi cicli era quantitativamente diseguale e il loro insieme formava la totalità del tempo. I vari periodi venivano simbolicamente raffigurati da diversi metalli – Oro, Argento, Bronzo e Ferro – a seconda del loro rapporto con l’origine. Questi diversi metalli esprimono simbolicamente un processo di decadenza spirituale attraverso quattro cicli o generazioni. Secondo questa visione, come già detto in precedenza, l’umanità all’inizio avrebbe conosciuto una vita simile agli Dèi, in seguito sarebbe decaduta a forme di organizzazioni sociali dominate dall’empietà, dalla cupidigia, dalla violenza e dall’inganno. Dalla perfezione delle origini si è passati alla separazione del potere guerriero da quello spirituale, per concludersi nel dominio della razza dei mercanti (borghesia). In questo modo alterata l’unità del Principio, si venne a creare una vera e propria involuzione. Questa verità si ritrova in molti testi sacri, dove si conserva il ricordo delle origini, come qualcosa di luminoso e immortale.

    Ora non sto dicendo che è ciò in cui credo io ma che un tale modo di concepire le cose fu pressochè il contrario di quello attuale.
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 31 Luglio 2017
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  8. f5f9

    f5f9 si sta stirando Ex staff

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    bello ma, per me, irrealistico, di un romantico estenuato e troppo ottimista
    forse sono solo troppo vecchio e disincantato, ma hai il merito di farmi rimpiangere le mie antiche fasi "spiritualiste"....(credo che noi nerd ci siamo passati quasi tutti :asd: )