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Il Nonluogo in ogni luogo

Discussione in 'Lo scannatoio' iniziata da Alice, 25 Settembre 2016.

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  1. Alice

    Alice Livello 1

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    Provo a fare un esperimento nel proporre un tema antropologico-filosofico.

    (Alberto Moravia, Al di là della luna, "L'Espresso", lO agosto 1969).

    « Col volo spazìale, il mistero del posto della macchina nella civiltà si è finalmente squarciato. Semplicemente, il ruolo finale della macchina nella civiltà è di fare uscire gli uomini dall'atmosfera terrestre e di fargli affrontare lo spazio [ .. . ] . Lo spazio, cioè il vuoto, è il solo luogo realmente adatto alla macchina, il solo luogo dove la macchina sia altrettanto naturale che l'albero nella foresta e il pesce nell'acqua [ . . . ]. Armstrong, Aldrin e Collins parlano coi tecnici delle sale di controllo come parlerebbero le macchine se avessero la parola [ ... ]. Il che, poi, equivale a dire che non si viaggia, non si vive, non si abita nel cosmo se non rinunziando alla propria umanità, e in primo luogo a ciò che distingue e caratterizza principalmente l'uomo, ossia la parola [ .. . ] . Armstrong [gli antichi credevano nel potere dei nomi: Armstrong significa braccio forte, il cervello stava infatti sulla terra] , Aldrin e Collins comunicano ma non si esprimono [ ... ] .

    « Negli Stati Uniti SI ha spesso l'impressione che gli americani, senza accorgersene, si stiano addestrando, se non proprio per abbandonare la terra, almeno per spezzare gli ultimi residui legami che li trattengono ad essa. Per esempio la middle-class, che è ilnerbo della società americana, non parla né scrive con piu di cento parole, meccaniche e affatto prive di vitalità espressive, veri e propri gettoni linguistici che vengono scambiati come monete [ . .. ] . Sotto il pretesto della comodità, l'americano tende sempre piu a vivere in un artificio che è, per dirla alla maniera tecnologica, una specie di camera di simulazione dell' artificio supremo e assoluto della vita nello spazio. Gli edifici pubblici tutti quanti e molte delle abitazioni private ormai non hanno quasi piu finestre e di giorno come di notte sono illuminati con la luce elettrica e "condizionati" nell'aria, calda d'inverno e fredda all'estate. Gli alimenti sempre piu sacrificano la fragranza alla durata; ossia acquistano proprietà di incorruttibilità attraverso l'inscatolamento e la refrigerazione che potrebbero domani rivelarsi preziose nello spazio. Infine la comunicazione attraverso la radio, la televisione e gli altri mezzi meccanici preparano alle future solitudini cosmiche rallegrate unicamente dal gracchiare di voci parlanti a centinaia di migliaia di chilometri di distanza e dal baluginare di immagini dai colori falsi e dai contorni confusi di persone e cose anch'esse sterminatamente remote. Ma forse la prova principale che la società americana si prepara inconsciamente all'abbandono della terra, sta nello scempio che gli americani hanno fatto e vanno tuttora facendo della natura del loro paese. Distruzione della flora e della fauna, polluzione delle acque, morte della terra, ammorbamento dell'aria, tutto negli Stati Uniti sembra indicare che in un futuro per fortuna ancora lontano la luna o altro pianeta potrebbe forse sembrare preferibile al New England o alla California »

    ***

    Se si coglie la metafora che la luna rappresenta nell'articolo allora è facile notare come Moravia già allora ci avesse preso in pieno. Mi ha subito fatto venire in mente Baudrillard quando parlava di come il virtuale avesse assorbito il reale ma sopratutto Marc Augè con i suoi Nonluoghi che oggi dominano la realtà. I Nonluoghi sono "Uno spazio che non può definirsi nè identitario nè storico, luoghi che non integrano in sè nessun segno di antichità." Scrive G. Esposito:

    “Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale, né storico, definirà un nonluogo. […] I nonluoghi rappresentano l’epoca: ne danno una misura quantificabile ricavata addizionando […] le vie aeree, ferroviarie, autostradali, […], gli aereoporti, le stazioni ferroviarie, […], i grandi spazi commerciali, […], e infine, la complessa matassa di reti cablate o senza fili che mobilitano lo spazio extraterrestre ai fini di una comunicazione così peculiare che spesso mette l’individuo in contatto solo con un’altra immagine di se stesso.”

    È certamente la globalizzazione ad aver permesso la nascita di questi nonluoghi unendo le “differenze” ma senza contaminazione: ogni differenza (che sia culturale, sociale, religiosa, e così via) resta nello spazio ad essa assegnato all’interno del nonluogo. Tali spazi sono incentrati sul presente e sono il prodotto della postmodernità caratterizzata dalla precarietà, dall’instabilità, dal passaggio e dall’individualismo solitario.

    Non di rado gli ambienti virtuali sono collegati a questi spazi senza radici forse per la similarità che c’è tra le persone che “transitano” in “nonluoghi reali” e quelle dei “nonluoghi virtuali”: in entrambi i casi, infatti, si parla di utenti che non abitano il nonluogo ma lo “attraversano”, utenti che abbandonano le loro caratteristiche e ruoli personali per essere un’entità anonima. I codici comunicativi dei nonluoghi, infatti, ammettono un’identità nascosta, provvisoria, anonima appunto, che permette agli individui di liberarsi da abitudini e cliché e mettere in gioco una personalità che vaga dall’inconscio, al falso, al desiderato.

    Fin qui sono perlopiù constatazioni, ciò che mi domando è: è stata la società consumistica e il Pensiero Unico con cui i più sono indottrinati che ha prodotto un presente dove i contesti nei quali un tempo normalmente le persone vivevano fungono da nutrimento per dimensioni astratte che decontestualizzano l'esistenza stessa producendo forme sempre più massiccie d'alienazione oppure è lo stesso progresso tecnico che strappa e sradica gli uomini dalla terra potenziando la pandemia del collettivo conducendo verso la dissoluzione del mondo?
     
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  2. hyperionx

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    Oddio, che bel dilemma, devo rifletterci su :sisi:   

    Intanto ribattezzo il quesito con "The issue  of human dark matter", poi ho bisogno di più tempo, anzi di essere e tempo in particolar modo, la deiezione di Heidegger, chissà forse potrebbe venir fuori qualcosa di interessante :asd:  

    Mentre io non ci dormo la notte perchè il quesito mi assilla e rischio di essere  troppo radicale,  tu hai raggiunto una tua conclusione?

    Boh, magari dico un sacco di stronzate però:

    Io propendo più per la prima ipotesi, perchè il progresso tecnico è un riflesso della condizione umana, ,ma non trovo soddisfacente questa ipotesi, sarebbe troppo riduttiva. Direi allora che si è instaurato un meccanismo dove il progresso tecnologico è asservito all`alienazione dell`esistenza, proprio perchè riflette l`alienazione stessa e col passare del tempo è diventato un strumento dell`evoluzione della stessa, un tutor che offre sempre più opzioni di fuga. 

    E` diventato talmente simbiotico il rapporto che per l`individuo è  semplice prevederne l`evoluzione.

    non so se riesco a spiegarmi...

    Mi serve ancora più tempo, perchè vorrei legarlo al concetto di autenticità e non autenticità in funzione della consapevolezza della morte o l`idea di immortalità.

    Il ruolo del dispositivo di memoria esterno, ad esempio l`orologio da polso, come prova dell`esistenza dell`individuo  :asd:   ed Infine il rapporto uomo-macchina e la dissoluzione del mondo, per come lo conosciamo in questo tempo  :asd:  

    il tutto cercando di rimanere borderline al concetto di utilitarismo.

    insomma ho solo una mezzoretta al giorno, mi serve tempo.
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 26 Settembre 2016
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  3. D

    D Ronin Ex staff

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    Ti sei praticamente risposta da sola :sisi:

    Ovviamente il progresso tecnologico è solo un fattore di incremento esponenziale dell'alienazione e del propagarsi del pensiero unico. Senza andare nello specifico basta vedere come l'introduzione dei dispositivi mobile dotati di gps, social network invasivi e ramificati e accesso immediato all'informazione (o alla finta informazione) abbiano prodotto nel corso di pochi anni la formazione di una morale artificiale, una cultura artificiale ecc.ecc.

    Potrei approfondire con cosa intendo per artificiale ma credo che hai già intuito a cosa mi riferisco e essendo ormai nella generazione 150 caratteri non ho alcuna voglia di scrivere :D
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 30 Settembre 2016
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  4. Maurilliano

    Maurilliano Sopravvissuto LiberaPay Supporter

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    Un coccodrillo, rimane pur sempre un coccodrillo.

    Se personalmente mi invitate a giocare una partita di calcio (mi vedrete indossare scarpini, pantaloncini, calzerotti e maglia numero 10)

    .....questo però non significa automaticamente che io sia diventato un 'calciatore'. Questa cosa mi rappresenta (e mi qualifica) solo in quel preciso contesto.

    Per fare un altro esempio.

    Ci sono prede e predatori, 

    ma entrambi non rappresentano la REALTA' , ma solo 'questi' specifici aspetti.

    Basterebbe inserire nell'equazione un 'altro' animale (chessò un facocero o un elefante), per avere un diverso risultato.

    • Signor elefante....io sono un leone, e noi siamo 'leoni': perchè non scappa?
    Perchè come è evidente dalla mie 'poderose' chiappe.....io non sono una preda.

    • ....allora anche tu 'cacci' zebre e gazzelle?
    No, non direi. Non mangio carne (biologicamente non sono in grado di assorbirne le sostanze nutritive), per quanto mi riguarda.....possono pure morire di vecchiaia. O in qualsiasi altro modo, in effetti.    

    Quindi seppur 'allarghiamo' il quadro ad entrambi gli aspetti e possibili 'variabili'.....

    il risultato è solo un indicizzazione di una (diciamo impropriamente) 'mini-realtà' o microverso.

    L' argomento del topic in questione......" è un insieme cose ", 

    e il fatto di parlane rimane vincolato solo dalla: A) Necessità di farlo - B) Desiderio

    e non è diverso da qualsiasi altro argomento (che sia politica, sport, spettacolo, attualità o videogame).

    Fatta questa premessa (sto papello),

    torno IT dicendo che io ho un atteggiamento classico da italiano 'medio': vorrei un paese più tecnologico e con maggiori infrastrutture,

    ma continuo (contemporaneamente) a pensare alla mia terra in maniera 'rurale'. Il provincialismo è un valore, ed non intendo rinunciarvi. 

    E allora gli 'ammerigani'?

    .....per quello che mi riguarda possono pure andarsela a prendere in der c.....

    :D  (per essere ancora più sintetico)   
     
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  5. Attilax

    Attilax Dateci un ME4 con Shepard

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    Sarà anche Moravia ma questo suo assioma per me non regge "il ruolo finale della macchina nella civiltà è di fare uscire gli uomini dall'atmosfera terrestre e di fargli affrontare lo spazio [ .. . ] . Lo spazio, cioè il vuoto, è il solo luogo realmente adatto alla macchina, il solo luogo dove la macchina sia altrettanto naturale che l'albero nella foresta e il pesce nell'acqua".

    Secondo Moravia la macchina sarebbe naturale nello spazio, e come no!!! Il manufatto più artificiale è naturale nella culla della materia. Se questo è il postulato il suo teorema non vale. E quello di Esposito anche ma non voglio dilungarmi e annoiarvi.

    E' da sempre che l'uomo idealizza i tempi passati, vedendoli migliori del presente in cui vive, per esempio i greci delle polis favoleggiavano di un'età dell'oro e i Babilonesi e gli Ebrei (che li hanno copiati) di un Eden ancestrale. 

    Noi "moderni" parliamo di Pensiero Unico, di alienazione, di sviluppo, uniformazione, di decontestualizzazione come fossero mali moderni, ma che un contadino dell'inizio del '900 fosse felice e non alienato possiamo esserne sicuri? O che un legionario romano, o un servo della gleba, o un aborigeno australiano siamo sicuri siano stati felici?

    Il mio pensiero è che ogni momento storico ha il suo perché, e le masse necessariamente non posso essere completamente felici, perché essendo masse obbligatoriamente sono asservite al sistema (economico e tecnologico) che in quel periodo detta le regole.

    Non credo all'Eden e non credo all'età dell'oro, e tantomeno credo che i miei bisnonni fossero più felici di me, credo anzi che lo sviluppo tecnologico e la cultura a portata dei più in qualche modo facilitino la vita anche alle masse.
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 2 Ottobre 2016
  6. Maurilliano

    Maurilliano Sopravvissuto LiberaPay Supporter

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    Credo che lui si riferisca al concetto del cyberpunk. L'uomo sempre più dipendente e vincolato alla macchina, 

    cosa tra l'altro che è vera: commercio e grande distribuzione, automobili e aerei, internet e smartphone, lavatrici e condizionatori, etc, etc, etc.

    Della serie:

    • 184706293.jpg
    Prima eravamo così,

    • thumb_COLOURBOX5813680.jpg
    oggi siamo così...e domani (chissà)

    139.jpg

     
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  7. Alice

    Alice Livello 1

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    Mi fa piacere leggervi, sopratutto perchè ero scettica che questa discussione avrebbe suscitato interesse. Per ragioni di tempo rispondo solo ad Attilax cercando un pò di coprire anche altre vostre considerazioni.

    Partendo dall'idealizzazione dei tempi passati entriamo in una questione antropologica non semplice e mi guardo bene dal liquidarla nei tuoi termini. Molti popoli antichi, non solo i greci, parlavano di un età dell’oro perduta e non vedo perché stabilire a priori che fosse una fantasia. Se fosse realmente esistita (pensiamo alle antiche dinastie egiziane) avremmo un principio di decadenza delle razze anziché di evoluzione: approfondire ci porterebbe molto lontano ma ritenere che l’umanità non abbia avuto più grandi orizzonti e la nostra mostruosità moderna sia il male minore è tutto da dimostrare. Se l’equazione è più tecnica = più benessere = migliore, allora non c’è niente di cui discutere: per sentirsi compiuti basta sprofondare in questo vuoto e imbottirsi di anestetici, stordenti e trastulli per sopportarlo. E’ paradossale scrivere queste cose in un forum di videogiochi visto che fanno parte del vasto assortimento di narcotici del nostro tempo e la loro funzione principale è proprio quella  di fare evadere da una realtà spogliata di ogni qualità vitalistica. Con ciò lungi dal biasimare chi ci gioca ma dubito che se si vivesse un esistenza piena e autentica avendo un rapporto concreto con le cose se ne sentirebbe anche solo il bisogno. E’ proprio l’assenza di un qualunque spazio di manovra per lo spirito che fa preferire agli uomini di vivere in sogno. Si può concludere come hai detto tu che anche l’artificiale va incluso nel concetto di natura (ora non so darti una risposta definitiva in merito) ma ciò che voleva sottolineare Moravia è l’aspetto disumanizzante che gli artifici tecnici dei tempi ultimi recano con sé chiudendo l’uomo in una gabbia programmatica dove la pianificazione appiattisce l’ambiente spogliandolo delle vecchie sfide che tempravano gli uomini, dalle tentazioni, dagli imprevisti, le sorprese e le ricompense inattese. Scriveva a ragione Chamfort: “Robinson nella sua isola, privo di tutto, costretto a reggere le più massacranti fatiche allo scopo di garantirsi la giornaliera esistenza, sopporta la vita e persino, a suo dire, gusta diversi momenti di felicità. Immaginatelo allora in un isola fatata (un paradiso della tecnica per esempio), dotato di tutto ciò che può rendere gradevole la vita: l’ozio gli renderebbe sicuramente insopportabile l’esistenza.”

    Ed è l’ossessione per la sicurezza di cui il “mondo bene” non sa fare ormai a meno nemmeno per un istante a potenziare la noia e lo squallore: la formula 1, per esempio, da quando sono cessati gli incidenti fatali (dopo Senna in pratica) non vale più la pena d’essere guardata. L'ultimo GP che ho visto l'anno scorso a casa d'un amica mi ha fatto addormentare sul divano. Figurarsi che Schumacher per sfiorare la morte è dovuto ricorrere all’antico metodo dello sci fuori pista.

    Riguardo all’articolo di Moravia, un mese prima, egli fu inviato in America in occasione del lancio dell'Apollo 11 che doveva portare il primo uomo sulla luna e riferì del suo colloquio con un funzionario dell'ente spaziale americano. Secondo il dottor Mueller, il volo spaziale presenterebbe un « aspetto spirituale» che dovrebbe risultare evidente a tutti: « quello di creare una meta nuova all'umanità. Una meta che potrebbe soppiantare tante altre mete meno degne e soprattutto meno vere. Una meta non effimera, non soggetta ai mutamenti della politica». Moravia commenta cosi : « Ci siamo, il dottor Mueller, senza forse volerlo, ha finalmente risposto alla domanda iniziale, "quale scopo". In altri termini, lo scopo dell'esplorazione spaziale sarebbe di dare uno scopo all'umanità » (in definitiva: la vita umana oggi non ha nessuno scopo).

    Da qui emerge una delle connotazioni più importanti della moderna tecnica che è proprio quella di sostituirsi agli scopi: oggi lo scontro tra i fini avviene sempre meno sul piano della lotta tra idee ed è sempre più legato a un aspetto pratico, poiché le forze in conflitto si servono soprattutto della tecnica per far valere i propri scopi su quelli degli antagonisti (si prenda perfino lo Stato Islamico). In una situazione conflittuale ognuna delle forze non può restare indifferente alla potenza e al rafforzamento dello strumento di cui essa si serve; se una di queste forze trascura la potenza dello strumento viene inevitabilmente sopraffatta dagli antagonisti. Per fare un esempio, i Paesi dell' ex URSS si resero conto che per realizzare una società senza classi stavano indebolendo oltre ogni limite di sicurezza quel progresso tecnologico che, nonostante tutto, consente di annoverarli tra i privilegiati del pianeta: questa fu la principale sconfitta del marxismo. Dunque ogni forza si ritrova costretta ad evitare, se vuole sopravvivere, di ostacolare e indebolire l’apparato scientifico-tecnologico di cui essa si serve; tuttavia evitare che il fine ostacoli e indebolisca il mezzo significa assumere il mezzo come scopo primario, ovvero subordinare ad esso ciò che inizialmente si ci proponeva come scopo e così mentre le varie correnti della tradizione occidentale si illudono di servirsi della tecnica per realizzare i propri intenti in realtà accade l’opposto perché la tecnica da mezzo diventa fine tendente solo a una crescita esponenziale della potenza. Circa la potenza nessuno pretenderà che per il fatto che con la bomba H una persona può polverizzare un intera metropoli o che grazie ai progressi aereospaziali essa può dilettarsi in giochi d’avventura per bambini grandi, quella persona in sé, nella sua concretezza esistenziale, sia più potente e superiore. Anzi, tutte queste forme di una potenza esteriore e meccanica lasciano immutato l’essere umano reale; usando missili intercontinentali, sfrecciando con un auto scoperta e veloce da oltre 600 cavalli, se si escludono gli effetti materiali, egli in sostanza non è più potente o superiore di quanto lottava con la clava o viaggiava con un brocco. In molti, non solo il Mueller di cui parlava Moravia hanno cercato di far valere argomenti finalistici sull’accumulamento inaudito di mezzi di potenza propri dell’era atomica ma la verità palese che ho già esposto è che la scienza mette a disposizione dell’uomo un sistema prodigioso di mezzi lasciando del tutto indeterminato il problema dei fini. Ora mi viene in mente Theodor Litt ma anche qui sul forum in passato si è detto qualcosa di simile; comunque Litt sosteneva che l’uomo realizzerebbe la sua vera natura quando di fronte a situazioni limite fa uso del libero arbitrio decidendosi in tutta responsabilità in un senso o nell’altro. Per le armi nucleari per esempio si tratterebbe di decidersi per un uso distruttivo bellico o come deterrente per un uso pacifico e costruttivo. Ciò presupporrebbe che i rari uomini ancora aventi dei saldi principi interiori aldilà dai fini materiali e contingenti sarebbero quelli a cui verrà dato di decretare l’uso dei mezzi di potenza in un senso o nell’altro, cioè niente di più lontano dalla realtà. Con buona pace degli ambientalisti perseguire l’innovazione tecnologica per incrementare il profitto è una cosa completamente diversa dal perseguire tale innovazione per non distruggere la terra.

    Finisco con il tuo discorso della cultura alla portata di tutti riallacciandomi ai non luoghi e ai social che ne costituiscono l'apogeo. Si può sentenziare che ogni membro di un Social Network ha accesso ad un vasto bacino di informazioni che egli stesso contribuisce ad arricchire, ma questa è solo una deduzione teorica perchè in pratica non si può fare a meno di constatare che  gli utenti mirano, più o meno inconsapevolmente, alla diffusione di una vera e propria ignoranza collettiva, fatta del luogo comune più vuoto e insignificante, imponendo modelli semplificati e spesso aberranti sia nel linguaggio che nelle dinamiche relazionali consegnando definitivamente il mondo nelle mani dei sub-umani.
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 3 Ottobre 2016
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  8. hyperionx

    hyperionx Designer of Mr Stud

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    Visto che le nostre non esistenze nei non luoghi ci portano inevitabilmente ad essere noi stessi degli strumenti vuoti, asserviti a delle fluttuazioni di tendenza che il sistema stesso impone, non ci resta che immaginare un epilogo catastrofico.  Uno squallido equilibrio di poteri forti , per mezzo di potenza tecnologica per il controllo del mondo e in questo limbo dove non c`è nessun grande stimolo, ma solo la teoria della paura di soccombere, la necessità di riequilibrio costante, c`è la  massa ignorante e inconsapevole, gregge a sostegno di questo meccanismo perverso. Consumatori obbedienti è pronti a farsi sparare direttamente nei circuiti sistemici di alimentazione. :asd:   Da veri credenti.

    sguardo assente come le vacche indù (cit)

    Non so, adesso propendo anche per la seconda ipotesi, ma a differenza del più catastrofico pronostico, io sono un ottimista, credo che tutto ciò alla fine sia una lotta per trovare una dimensione spirituale, costi quel che costi. Ma potrebbe volerci una grande catastrofe, perchè queste illusioni si sgretolino di colpo, facendo spazio al riallineamento della percezione e il buongiorno nel risveglio dell`individuo.

    Ehi tu donna!! / Ehi tu uomo!!  :asd:  

    Tutto quello che ho detto è solo uno scherzo.

    In verità viviamo una fase transitoria dell`evoluzione, una volta finite le risorse siamo capaci solo di spostarci e trovarne di nuove, ecco perchè andiamo nello spazio con le macchine e con una dose troppo elevata di fede. il progresso tecnologico è solo una questione di sicurezza , per ridurre al minimo i rischi e abbattere una volta per tutte le religioni :asd:  il fatto che sia uno strumento di sfogo è dovuto solo al fatto che tutto questo progresso non c`è e che noi serviamo le macchine invece del contrario. Ecco spiegata la corsa allo strumento di potenza e le sue deviazioni sociopolitiche :)  

    Se facessimo una colossale scoperta, probabilmente essa avrebbe lo stesso impatto della grande catastrofe, riallineando tutta la percezione del sapere e di conseguenza dell`individuo.

    Ehi tu DEVICE!! renditi finalmente utile.

    Ma è possibile che ciò non avvenga mai e finchè dura continueremo a provare.

    @Alice mi sento di consigliarti un videogioco, sono OT no? Penso potrebbe piacerti, si chiama INSIDE ed è un 2.5D a scorrimento.

    facci un pensierino :)  Anzi, apro un topic a breve.
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 4 Ottobre 2016
  9. Maurilliano

    Maurilliano Sopravvissuto LiberaPay Supporter

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    Se volessi ritornare a visitare Firenze, perchè dovrei andarci a piedi?

    Non è meglio il treno?......poi se vado in Ferrari, e che te lo dico a fare!   :thumbsup:  

    Eppoi a me piace giocare ai vg, e visto che non ne 'abuso' non vedo come questa cosa possa qualificarmi.

    Credo in Dio?.....mah forse! Cioè è possibile che (come in passato) io possa trovarmi nella condizione di dire: "Oddio, ti prego fa che questa cosa si risolva!".

    Ma nello stesso modo fra 3/4 mesi potrebbe succedere di sentirmi 'bestemmiare' in aramaico (o leggendo al contrario) in Satanico.

    Se mi piace una canzone, io me la ascolto, ma dopo 200 volte non ne ho più voglia.

    Per quale motivo dovrei rinunciare a cercarla?  O nello stesso modo: perche dovrei essere costretto ad ascoltarla per la 201 volta?

    Io sono 'parte' di un tutto (ma 'vincolato' solo a poche). 
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 3 Ottobre 2016
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  10. Alice

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    @Hiperiox: conosco gli sviluppatori di Inside per via del loro precedente Limbo, un artistico platform 2D con personaggi in silhouette. Inside lo attendevo da tempo ma i requisiti minimi sono troppo alti e non gira su XP :mellow:
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 4 Ottobre 2016
  11. Maurilliano

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    Cavolo è proprio vero! E tra suddette 'poche' ho scoperto (stamane),

    che il portafoglio.... non era tra queste.   :)

    Io sono un emerito cog++one! 

    No, no....potete anche dirlo, siete autorizzati! Approfittate numerosi.

    :sleep2:  Quello che è giusto, è giusto. 
     
  12. D

    D Ronin Ex staff

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    Maurì mi devi assolutamente dare il numero di chi ti passa gli acidi :sisi:

    :D :D
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 5 Ottobre 2016
  13. Maurilliano

    Maurilliano Sopravvissuto LiberaPay Supporter

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    Magari fosse vero, il dramma è che non è così.

    A due cose devo fare attenzione quando esco, il portafoglio e le chiavi di casa. Due cose.

    1. Portafoglio
    2. Chiavi
    Considerando quante volte in 45anni me le sono perse, è evidente che sono molto intelligente.  
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 6 Ottobre 2016
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  14. Alice

    Alice Livello 1

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    Ma non è questione di intelligenza: ci sono persone molto intelligenti che sono anche molto distratte. Io ho una borsetta che in 6 anni non mi ha mai tradito perchè da lì tutto quel che esce vi rientra subito dopo ma ho un amico più intelligente di me che avendo spesso la testa altrove si dimentica le cose più banali.
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 6 Ottobre 2016
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  15. D

    D Ronin Ex staff

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    @Alice possiamo dire che quella borsetta e il luogo in ogni nonluogo  :sisi1:

    :D :D
     
  16. Cem

    Cem Bambola di pezza Ex staff

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    Permettetemi un po' di sano trollaggio nerd. Ho letto avidamente tutti i vari post, ma penso che la risposta alla domanda posta da @Alice nel primo post sia: 42.
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 7 Ottobre 2016
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  17. Alice

    Alice Livello 1

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    Riprendo il mio vecchio topic di considerazioni antropologiche socio-esistenziali perchè nelle due settimane che trascorso offline ho passato molto tempo in libreria a sfogliare testi di Baudrillard, Marc Augè (da cui deriva il titolo e l'argomentazione principale di questo topic) e sopratutto Zygmunt Bauman.

    Jean Baudrillard, un acuto filosofo che ho citato spesso in passato, ha illustrato la frammentazione dell’identità e l’immagine frammentata del mondo e dell’uomo, confezionata dai mass media contemporanei, i quali trasformano il mondo in una serie di pseudo-eventi di natura spettacolare. Per lo spettatore dei media tutto si riduce ad apprezzare l’intensità e le sensazioni della superficie delle immagini, senza poter attivare in modo consistente meccanismi di identificazione e di proiezione nei confronti di personaggi e caratteri. I nuovi media hanno giocato un ruolo cruciale nella fabbricazione del significato o finto valore della realtà. Già la televisione era giunta a sostituire la realtà: tutto ciò che vediamo attraverso lo schermo è una comunicazione artificiale, un reale contraffatto, che diventa la vera realtà. Oggi viviamo assorbiti dalla manipolazione dei media, dei programmi informatici e delle psicologie commerciali. Qual'è l’originale realtà per noi? Viviamo di segni e simulacri realtà virtuali o siamo in grado di coglierne  la differenza con criticità?

    Viviamo per l'appunto nei non-luoghi di Marc Augé (di cui vi consiglio il libro omonimo). Degli spazi privi di identità, relazioni e storia: autostrade,  svincoli e aeroporti, mezzi di trasporto, grandi centri commerciali, outlet, sale d’aspetto... spazi in cui milioni di individui si incrociano senza entrare in relazione, senza entrare in contatto, senza discutere, parlare, guardarsi, dialogare (l’esatto contrario dell’antica agorà di Atene)... sospinti solo dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare viaggi e percorsi.

    Nei nonluoghi i luoghi della memoria sono  confinati e banalizzati in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di “curiosità” o di “oggetti interessanti”. Le differenze culturali sono massificate e racchiuse nei centri di commercio. I nonluoghi sono incentrati solamente sul presente, caratterizzato dalla precarietà assoluta, dalla provvisorietà, dal viaggio, dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita. I nonluoghi sono presenti anche sulle banconote dell'Euro, con l’effigie di edifici e monumenti privi di identità e di storia. Il rapporto fra i nonluoghi e i suoi abitanti avviene solitamente tramite simboli, parole o voci preregistrate. L’individuo nel nonluogo perde tutte le sue caratteristiche di cittadino e i suoi ruoli personali per continuare a esistere sono solo ed esclusivamente come cliente o utente. Non vi è un riconoscimento delle classi sociali, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico. Si è socializzati, identificati e localizzati solo in occasione dell’entrata o dell’uscita dal nonluogo; per il resto del tempo si è soli e simili a tutti gli altri utenti/consumatori che si ritrovano a recitare una parte che implica il rispetto delle regole. Anche i centri storici delle città europee si stanno sempre di più omologando, con i medesimi negozi e ristoranti, il medesimo modo di vivere delle persone e addirittura gli stessi artisti di strada. L’identità storica delle città è stata ridotta a stereotipo di richiamo turistico.

    Zygmunt Bauman è forse il pensatore che più mi interessa perché ha meglio interpretato il disorientamento contemporaneo. La modernità liquida, concetto fra i più noti del sociologo, ci dice che con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso sono finite anche le certezze del passato in ogni ambito, dal welfare al lavoro fisso, dalla sanità pubblica alle pensioni, la postmodernità le ha smontate tutte, dissacrandole e mescolandole a pulsioni nichilistiche. L’unica comunità dell’individuo è diventata il consumo, la sua unità di misura l’individualismo antagonista ed edonista in cui nuotiamo tutti noi senza più una missione comune. La fase che viviamo è propizia alla nascita dei populismi, che nascono dall’indignazione. La modernità poggiava sull’etica del lavoro, perché il capitalismo produttivo aveva bisogno di quadri dirigenziali, che facessero funzionare le industrie, fonte del proprio profitto, quindi c’era necessità di welfare, scuola pubblica, benessere per la collettività destinata a gestire le fabbriche. Al contrario la postmodernità esalta l’estetica del consumo, che trasforma il mondo in un “immenso campo di sensazioni”. Un mondo  spesso investito dalla pubblicità o dal venditore di turno. L’esasperazione della soggettività, trova anche  incredibili attuazioni tecnologiche come la realtà virtuale.

    Bauman parla di un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e dunque del consumo, in cui sotto l’attenzione delle organizzazioni transnazionali finiscono i dati e  le persone, o meglio le loro emanazioni digitali, i cui rischi più elevati sono la privacy, la libertà di azione e di scelta. La novità postmoderna è che questo spazio del controllo ha perso i muri, e a dire il vero non occorrono neanche più i sorveglianti, visto che le “vittime” contribuiscono a collaborare al loro stesso controllo. Sono impegnati nell’autopromozione e non hanno gli strumenti per individuare l’aspetto oscuro nascosto sotto a quello seduttivo. La globalizzazione è dunque un processo intimamente legato alle forze di mercato che ha ripercussioni su molti altri settori della vita, in pratica è una nuova forma d’imperialismo finanziario, impadronirsi dell’economia degli stati, della loro moneta e della loro sovranità. Le forze economiche, infatti, hanno trasceso la dimensione nazionale, hanno perso ogni legame col territorio, dettano legge e non si prefigurano più come sistema produttivo dell’uomo per l’uomo, ma come sistema auto-referenziale, fine a se stesso. Le corporation trasnazionali muovono in uno spazio extraterritoriale, volano sopra i confini dello stato nazionale, fino ad oggi strumento di rappresentazione delle identità sociali, eludendo ogni sorta di controllo politico e collettivo, ignorando le differenze economiche, politiche, culturali, etniche e religiose delle singole nazioni. Il potere della globalizzazione economica è ormai senza volto e senza luogo, introduce la flessibilità come dogma e preannuncia l’incertezza delle esistenze, vissute nell’affannosa rincorsa per rimanere nella società dei consumi. Il potere ci tiene in scacco lasciandoci soli, levandoci qualsiasi capacità di autodeterminazione e programmazione futura.

    Anche le relazioni umane, dice Bauman, si adeguano e si plasmano sulla base di un consumo ipertrofico, sono sempre più numerose ma sempre più brevi e superficiali. E così, la nostra situazione affonda in un mare di indifferenza, che è l’unica arma di difesa valida a breve termine nei confronti dell’incertezza di ogni giorno.
     
    Ultima modifica da parte di un moderatore: 5 Ottobre 2017
  18. Mesenzio

    Mesenzio Contemptor Deum Editore

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    Non so come mi ero perso questo topic! Mi sono imbattuto in Augé giusto poco tempo fa, ma non ho ancora letto il libro.

    Quel che ti posso dire è che almeno in architettura il movimento moderno (o almeno quello internazionale) era abbastanza chiaro in tal proposito, e che sì, avere un'architettura "unica" uguale dappertutto era  una delle idee principali.

    Esatto, tra l'altro abbiamo i relativamente recenti e ben dimostrati "medioevi" del 12esimo secolo AC e quello dopo Roma, per cui, almeno in occidente, è abbastanza normale.
     
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