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Filosofia (esiste già un thread dedicato?)

Discussione in 'Lo scannatoio' iniziata da Varil, 12 Marzo 2024.

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  1. Varil

    Varil Galactic Guy

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    Spesso l'opinione comune che si ha della filosofia tende a relegarla in un angolino, come un qualcosa di totalmente futile per quanto concerne la nostra esistenza, in termini puramente pratici. Anch'io spesso, troppo a lungo, l'ho considerata vuoto esercizio mentale, masturbazione intellettuale.
    Forse è davvero così, in alcuni casi. Tuttavia più mi addentro inesorabilmente nel profondo dell'età adulta, più mi rendo conto di quanto effettivamente non sia così, e di come, forse, la vita stessa umana sia, nella sua più profonda intimità, filosofia.
    Apro questo thread per tutti coloro che vogliono condividere il proprio pensiero su questioni che potremmo definire impegnate, o puramente esistenziali, o, appunto, filosofia.
    E lo inauguro con questo video, che ho trovato veramente stimolante intellettualmente, nonché a mio avviso utile (qui ci si rifà al discorso di cui sopra, sulla presunta "inutilità" della filosofia - e su come, da più grande sostenitore di questa tesi, io stia inesorabilmente finendo per ribaltare la mia prospettiva al riguardo: che voglia dire invecchiare?).

     
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  2. f5f9

    f5f9 si sta stirando Ex staff

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    sì, interessante, ma penso che quasi tutti abbiamo avuto approcciando la filosofia a scuola con insegnanti inadeguati...
    io ricordo che, leggendo dell'"ottimismo leibniziano", buttai il libro contro il muro imprecando contro quelle che mi sembravano cretinerie folli :emoji_expressionless:
    perdonatemi, ero molto giovane...ma il concetto che questo sia "il migliore dei mondi possibili" continuo a non digerirlo :(
     
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  3. Mesenzio

    Mesenzio Contemptor Deum Editore

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    Varil, tu lo sai che ti voglio bene, ma mi apri una discussione sulla filosofia con un video di iutub? :emoji_stuck_out_tongue_closed_eyes:
     
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  4. Varil

    Varil Galactic Guy

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    Sei quasi elitista, pregiudicante e snob quanto lo sono io nei confronti dei videogiochi mainstream :p
     
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  5. Varil

    Varil Galactic Guy

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    Porto un po' di elitismo con un mio manoscritto che sto realizzando in questo periodo, di natura totalmente filosofica (fin quando c'avrò voglia di scriverlo, si intende - sicché la volontà non è una mia virtù).
    Questo è il primo paragrafo.

    "Sull'inconciliabilità tra consapevolezza ed esistenza

    Capitolo 1
    Sulla presunta inutilità della filosofia

    Spesso l'opinione comune nei confronti della filosofia tende a relegare quest'ultima in un angolino, come un qualcosa di totalmente futile - in termini puramente pratici - per quanto concerne la nostra quotidiana esperienza. Sia ben chiaro: io stesso, in verità, troppo a lungo, l'ho considerata un vuoto esercizio mentale, masturbazione intellettuale, una mera e vana attività velleitaria e fine a se stessa.
    Forse è davvero così, in alcuni casi. Tuttavia, più mi addentro inesorabilmente e ineluttabilmente (ahimé) nelle profondità dell'età adulta, più mi rendo conto di quanto effettivamente non sia così, e di come forse la vita stessa umana sia, nella sua più recondita intimità, pura filosofia.
    Dunque tutta la vita è filosofia? Che la filosofia sia l'elemento fondante alla base del motore pulsante dell'imperscrutabile animus biologico?
    Non si può certamente attribuire la proprietà filosofica ad ogni sistema vivente, evidentemente. Il filosofare è intrinsecamente ed esclusivamente un qualcosa di umano, o quantomeno di pertinenza soltanto di esseri senzienti. Esseri che dispongano dell'innata abilità del "cogitare", del pensiero elaborato sintatticamente, mediante un linguaggio complesso - banalmente, tali esseri devono disporre dell'uso interiore delle parole, che a loro volta consentono di comporre discorsi, dare forma ad idee e comunicare esternamente con altri esseri dotati dello stesso dizionario.
    Un cane sa di avere fame ma non sa cosa sia il concetto di fame. Tale capacità di meta-analisi, questa insondabile abilità dell'essere umano di allontanarsi dal focus pervasivo e totalmente avvolgente della sensazione in sé, e di guardare invece in maniera apparentemente più distaccata la sensazione stessa, quasi esternamente da essa, "dall'alto": questa è la genesi dell'elaborazione psichica che contraddistingue l'uomo dagli animali. Anche le cosiddette "intelligenze" artificiali, si badi bene, non posseggono in alcun modo questa abilità, questo meta-pensiero, se così possiamo chiamarlo. Di fatto, anche il termine IA (intelligenza artificiale) è profondamente fuorviante, in quanto non vi è assolutamente nulla di intelligente (nel senso ontologico del termine) in tali software. Tutto ciò che fanno questi programmi è seguire percorsi algoritmici; estremamente complessi, certamente - ma comunque deterministici, e dunque, in quanto tali, privi di coscienza. In ciò, anche l'animale batte la macchina, in quanto l'animale è, al di là di ogni ragionevole dubbio, un essere cosciente, ovvero capace di vivere l'esperienza di coscienza - cosa assolutamente impossibile per una macchina.
    L'uomo è dunque molto più vicino all'animale che non alla macchina, non importa quanto tale macchina possa essere complessa. Questo è lapalissiano: non è la complessità a rendere possibile la coscienza. Roger Penrose, matematico, fisico e cosmologo britannico, una delle più grandi menti della nostra epoca, potrebbe spiegarvelo in maniera estremamente più precisa e brillante di me, e soprattutto da un punto di vista rigidamente scientifico: la coscienza non è un'attività algoritmica né deterministica, è un qualcosa di più, che apparentemente ancora ci sfugge, nonostante i passi in avanti monumentali apportati dalle neuroscienze negli ultimi decenni.

    Ma cosa vuol dire che la coscienza non è algoritmica? E soprattutto, cosa intendiamo per coscienza?
    Ritengo necessario procedere per gradi, giacché qui parliamo di concetti estremamente scivolosi, ardui da afferrare psichicamente, difficili da maneggiare cerebralmente e ancor più difficili da interiorizzare, che vuol dire: fare propri.
    Affronterò a tempo debito questi argomenti sfaccettati, complessi e multi-disciplinari, nei capitoli successivi. Per ora torniamo al nocciolo della questione iniziale: il filosofare come fondamento dell'esistenza umana in quanto tale.

    Se, come si è visto, il "cogitare" è un'attività squisitamente di competenza umana, esso è logicamente anche quello stesso elemento che, irreparabilmente, separa l'uomo dal resto della natura: e qui nasce la più grande conquista dell'uomo, nonché la sua più grande tragedia.
    La conquista si estrinseca negli innegabili vantaggi che l'uomo ha nei confronti degli esseri privi del cogitare (arrogantemente li si identifica come inferiori intellettivamente - ma questo è assolutamente folle e denota un boriosissimo antropocentrismo nella nostra definizione di "intelligenza", che ha ben poco di universale e dunque non è applicabile correttamente a sistemi di intelligenza diversi da quelli umani: una formica non è meno intelligente di un uomo, in quanto un uomo sarebbe totalmente incapace di fare ciò di cui è capace una formica, e viceversa). Tali vantaggi che l'uomo ha sugli animali sono esclusivamente di natura pratica, beninteso. L'uomo può elaborare strategie di attacco e difesa in maniera sofisticata, costruire mezzi e strumenti a suo uso e consumo, studiare escamotage in condizioni di pericolo e trovare soluzioni a problemi materiali. Questo è ciò che, banalmente, ha consentito all'uomo di raggiungere l'apice della piramide alimentare. Ma tutto ciò si esaurisce nel dominio della concretezza. Al di fuori di esso vi è la tragedia.
    La tragedia scaturisce nel dominio dell'astrazione, che è un'arma a doppio taglio. Nel dominio dell'astrazione, estremamente vivido, lucido e "concreto" nella mente umana rispetto ad una mente animale, albergano il male assoluto ed il bene assoluto, il più grande dolore e la più grande felicità, la più grande sofferenza ed il più grande benessere. Dunque, il dominio dell'astrazione, che i platonici definivano metafisicamente iperuranio, è il pozzo della Creazione, da cui nascono tutti i più grandi mali dell'umanità, così come le più grandi salvezze; i più grandi mostri, e i più grandi santi, con tutto ciò che vi sta in mezzo. Questo reame dell'astrazione è il punto di non ritorno dell'evoluzione, la violenza primordiale nei confronti della natura stessa, è il Lucifero che rinnega il paradiso e decade sprofondando negli abissi e generando una nuova realtà distorta, dove la materia prima del tessuto stesso dell'essere è il Male.
    Questo è l'aborto della natura dalla natura stessa. Molti lo definiscono, in maniera arrogantemente umana, principio antropico: lo scopo ultimo del Cosmo, che arriva a pensare Sé Stesso. Altri, come già detto, lo vedono come un atto contro natura da parte della natura stessa, che arriva a creare un qualcosa di apparentemente scollegato da se stessa. Un qualcosa dunque di profondamente e spaventosamente innaturale, che separa violentemente l'uomo dal resto della realtà. È la condanna da parte dell'essenza più profonda dell'umana esistenza, che equivale a dire: il cogitare. Il vedere in maniera distaccata, esternamente, "dall'alto".
    Ma voi dovreste imparare a conoscere quest'entità multiforme, buona e cattiva, madre e matrigna, genesi dell'Io e bara dell'ancestrale istinto, con il suo vero nome: Filosofia."
     
    Ultima modifica: 30 Marzo 2024
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  6. alaris

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    Non si direbbe!
     
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  7. Varil

    Varil Galactic Guy

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    Vi ammorbo ulteriormente con un altro paragrafo.

    Sulla vacuità della pretesa di significato

    Se il significato è un'invenzione umana, essa non ha alcun riscontro all'interno del mondo. Ecco perchè la domanda "qual è il significato dell'esistenza?" non ha ragion d'essere. Poiché qualunque risposta uscisse da una tale domanda sarebbe comunque fallata. Anche affermare che non esista alcun significato (tema tanto caro ai nichilisti) è comunque una fallacia logica.
    Dire che nulla abbia senso, che il cosmo sia privo di significato, così come la vita stessa, è comunque un errore. Di fronte ad una tale domanda, la risposta più intelligente sarebbe il silenzio assoluto.
    E non perché non vi sia alcun significato, o perché non abbiamo modo di scoprirlo, questo fantomatico, intrinseco e ontologico significato della natura dell'essere, ma semplicemente perché il significato è un costrutto umano e non ha nulla a che vedere con la natura stessa dell'essere.
    Si sta applicando un elemento di analisi ad un qualcosa che funziona in maniera completamente diversa.
    Sarebbe come chiedere "qual è il colore del nulla?" o "quante calorie ha un suono?". Trattasi di proprietà che esulano dagli oggetti in esame. Anche dunque affermare che un suono abbia zero calorie è un errore logico. La risposta dovrebbe essere una non-risposta, conseguente ad un corto-circuito logico causato da dati errati forniti come input. Un computer onnisciente, verosimilmente, alla domanda "qual è il senso dell'esistenza?" fornirebbe come risposta un qualcosa del tipo: "Output impossibile: dati errati".
    Inoltre, anche affermare che l'esistenza del Tutto non abbia alcun significato, crea un ostacolo alla comprensione: è possibile infatti sia presente un qualche tipo di "significato", ma esso sarà inevitabilmente dissimile dal concetto umano di significato. Se vi sono "significati" intrinseci nella natura dell'essere, essi non hanno nulla a che vedere con la concezione umana di ciò che è significativo, giusto, sensato, o buono. E il fatto che la realtà non rispecchi concetti idealizzati (di totale invenzione umana) non è sufficiente a tacciare quella stessa realtà di "assenza di significato". Comprendere questo è fondamentale.
    Spesso additiamo infatti l'universo come un qualcosa in divenire totalmente casuale e dunque, in quanto tale, privo di significato. "Tutto è in mano al caos e alla casualità. Nulla ha un senso". Eppure, anche la stessa casualità è un'invenzione umana. Essa non è altro che, in termini puramente di fisica, il riflesso della nostra ignoranza circa la previsione dell'evoluzione di fenomeni deterministici - o presunti tali, almeno (anche su questo argomento, tornerò nei capitoli successivi). Il che equivale a dire: il fatto che il mondo non si comporti come ci aspetteremmo o come vorremmo, non è sufficiente ad affermare che quello stesso mondo non rispetti delle proprie leggi e una propria "intelligenza" o che funzioni "senza un senso".
    Ecco perché la rassegnazione al nichilismo è un ostacolo alla comprensione: interrompe la propria ascesi sapienziale. Nei confronti della realtà, nella sua infinità e incommensurabile complessità, è possibile un solo atteggiamento intelligente: il completo agnosticismo.
    Analogamente poi al "significato" e alla "casualità": anche "giustizia", "karma" et similia sono invenzioni, costrutti umani, che non sono intrinsecamente connaturati nella realtà. Non esistono come tali nella natura delle cose. Idem dicasi per la "verità assoluta". Pretendere dunque di rinvenire entità astratte di umana invenzione come "giustizia" o "significato" nella realtà è pura irrazionalità. Nonché un insulto alla stessa realtà, che è infinitamente più complessa, sofisticata e imperscrutabile di così.
    Non fanno eccezione in questo discorso anche concetti come "bene" e "male". Così come ognuno ha la propria interpretazione di "giustizia" (cosa è giusto e cosa è sbagliato), così ognuno ha la propria interpretazione di cosa è bene e cosa è male. Già le infinite varianti soggettive che si hanno di questi concetti dovrebbero essere sufficienti a far sorgere un enorme dubbio sulla fattibilità del rinvenirli come entità oggettive della realtà. Non esiste nulla del genere nella realtà. Non esistono giustizia, né significato, né bene, né male; non aderenti, almeno, a queste interpretazioni totalmente umane (e ancora oltre, svariatamente soggettive).
    Riguardo poi al bene e al male: concetti meramente platonici, totalmente fallaci e ipocriti.
    Non vi è nulla di virtuoso e nobile nel "fare del bene". "Fare del bene" è semplicemente liberarsi di un eccesso di essere. "Fare del male" è invece cercare di appropriarsi di un po' di essere, in quanto se ne ha in difetto.
    All'acme del nostro spirituale benessere, siamo filantropi. Quando soggiorniamo negli abissi più profondi del nostro spirituale malessere, siamo misantropi. È una semplice osmosi dell'essere.
     
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  8. Vitbull88

    Vitbull88 Scienziato pazzo

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    Piccolo commento puntiglioso che esula lo scopo di questo scritto: tecnicamente, la caloria è una unità di misura dell'energia. Per cui, per quanto non si utilizzi comunemente al di fuori dell'alimentazione, la caloria può essere utilizzata per misurare qualunque tipo di energia. Il suono, essendo un'onda meccanica, è associato ad una quantità di energia che è dunque misurabile anche in calorie. Quindi, la domanda ha effettivamente un senso, ed è possibile rispondere
     
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  9. Varil

    Varil Galactic Guy

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    Vero, dimenticavo la convertibilità delle cal in J.
    Ora sarà difficile trovare un esempio alternativo, ma si accettano suggerimenti xD
     
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  10. Maurilliano

    Maurilliano Sopravvissuto LiberaPay Supporter

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    non c'è soluzione.. solo un compromesso
    ed è accessibile solo alle persone timorate di Dio
    o detto filosoficamente: dalle persone che temono la pericolosità delle supposizioni
    perchè conoscere qualcosa nello specifico, ti rende altresì inconsapevole del quadro generale
    oppure
    conoscere il quadro generale delle cose, ti rende altresì previo di una conoscenza oggettiva specifica
    in sintesi la conoscenza è ignoranza
    ed è logico temere ciò che non si conosce
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  11. Varil

    Varil Galactic Guy

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    Più che altro il mio titolo parte dal presupposto che non ci possano essere appunto conciliabilità e armonia tra l'esistenza e la consapevolezza (intesa come caratteristica esclusivamente umana). La consapevolezza crea una rottura a mio avviso con il resto della natura delle cose intorno a noi, che è invece inconscia e semplicemente esiste, in maniera del tutto spontanea. Come un animale.
    La consapevolezza umana invece crea un'irreparabile rottura tra noi e la realtà intorno a noi, perché la consapevolezza va a filtrare tutta quella realtà intorno a noi, facendoci perdere quella sorta di simbiosi naturale con il Tutto.
    Lo affronterò meglio nel libro in toto, ammesso che io riesca a finirlo.
     
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  12. alaris

    alaris Supporter

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    Lo finirai sicuramente, ne sono certo
     
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  13. Maurilliano

    Maurilliano Sopravvissuto LiberaPay Supporter

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    si, perchè la realtà si divide in 2 piani astrali differenti e separati
    Un vecchio saggio disse: "Puoi imparare qualcosa di tutto, però di contro otterrai anche niente di qualcosa" o "imparare tutto di qualcosa, però contemporaneamente otterrai anche niente di tutto"
    l'assoluto e lo specifico sono separati tra loro
    Ci sono molte teorie del 'tutto' proposte dai fisici teorici (vedi la teoria delle stringhe, la più importante), ma nessuna è stata confermata sperimentalmente. Il problema principale nel produrre una tale teoria (teoria unificata) è quello di rendere compatibili le due teorie fisiche fondamentali accettate, la meccanica quantistica e la relatività generale, attualmente inconciliabili.
    Il grande e il molto piccolo, funzionano diversamente, sono governate da fisiche differenti
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  14. bruco

    bruco Ex staff Ex staff

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    Sperando di non ledere la serenità di nessuno, credo che la filosofia come strumento di indagine del mondo naturale sia sia dimostrata fallimentare perché, semplicemente, non riesce a dare risposte in alcun modo soddisfacenti.

    Il pensiero scientifico infatti rinuncia a dare definizioni di quello che noi chiamiamo realtà. La realtà è composta da spazio, tempo ed energia. Nessuno è in grado di "capirli" e ormai si è rinunciato a farlo da molto tempo.
    Ci si limita a darne una misura. Queste misure vengono immesse in quelli che chiamamiamo "modelli", ovvero un linguaggio matematico che permette di prevedere il futuro.
    Prevedere il futuro non vuole usare la palla magica, ma piuttosto capire quale effetto sortirà una certa azione.

    Ogni modello viene aggiornato solo quando si rende insufficientemente capace di predire il futuro. Meglio di così non riusciamo a fare, al momento. È possibile anche creare, e soprattutto affidarsi, a modelli che siano efficienti solo in determinate condizioni circoscritte. Il confronto tra teoria delle stringhe e relatività generale, letto in maniera efficace, vuol dire che i fisici sono alla ricerca di un modello ancora più generale (e complesso) che comprenda entrambi gli estremi. Se ti sposti nel "troppo grande", la teoria delle stringhe non funziona. Se ti sposti nel "troppo piccolo", la teoria della relatività non funziona. Ma questo non vuol dire che questi due modelli siano sbagliati. Non credo che la filosofia riuscirà a fare meglio di così.

    Per quanto riguarda invece l'animo e la psiche umana, credo che la filosofia sia l'unico strumento d'indagine soddisfacente, perché i sentimenti non sono misurabili e quindi non sono quantificabili.
    Quindi la scienza non prevale sulla filosofia, piuttosto hanno campi di indagine diversi: la scienza il quantificabile, la filosofia il non quantificabile. Non si può misurare un sentimento, almeno non in termini universali così come si misura 1 metro di spazio.
     
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  15. Varil

    Varil Galactic Guy

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    Il problema è che anche la scienza non riesce a giungere all'essenza più profonda della realtà (e la fisica quantistica ce lo ha confermato in maniera a mio avviso traumatica).
    Anche la stessa matematica parte da assiomi, che altro non sono che proposizioni che vengono date per vere per "atto di fede". Sono proposizioni considerate auto-evidenti e quindi accettate convenzionalmente, sebbene indimostrabili.
    Analogamente, in filosofia, simili proposizioni sono definite apodittiche.
    Certo, poi la scienza costruisce, su questi assiomi/dogmi, delle strutture sorrette da una logica consistenza interna e rigore metodico, mentre nella filosofia ci si diletta di più nell'astrazione individuale e ci si prende più "licenze creative".
    Ma resta il fatto che qualsiasi sistema di pensiero umano, che sia filosofico o scientifico, deve sempre comunque partire da fondamenta, che però non sono studiabili. Quindi bisogna sempre stabilire aprioristicamente delle fondamenta convenzionali su cui appoggiarsi. Senza questo primo insormontabile "atto di fede" non si può edificare nulla a livello concettuale.
    La realtà funziona allo stesso modo a livello quantistico, tra l'altro. A livello più profondo la fisica quantistica dimostra come la realtà non possa essere studiata senza alterarla (semplificando tantissimo il discorso). Quindi la sua essenza più profonda non è analizzabile.
    Ecco perché anche concetti come realtà e verità sono estremamente delicati.
    Non a caso, uno dei capitoli del mio libro sarà intitolato "L'invalicabile soggettività della verità".
     
    Ultima modifica: 9 Aprile 2024
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  16. Mesenzio

    Mesenzio Contemptor Deum Editore

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    La seconda opzione non mi pare molto soddisfacente.
    Che poi questa differenziazione dogmatica tra scienza e filosofia è una cosa limitatissima degli ultimi 150 anni o giù di lì che nemmeno scienziati tantomeno filosofi ritengono valida al di là di goliardate tra STEM e studi umanistici che finiscono alla triennale.
     
  17. gyj

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    Una curiosità Varil: quale percorso di studi hai seguito per acquisire questa completezza esplicativa (diciamo così) ? Direi qualcosa di profondamente umanistico o di "fottutamente" matematico, anche se certe profondità di pensiero e linguaggio le ho trovate spesso nelle carriere militari da accademia (ma non in Italia, certo...).
     
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  18. bruco

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    È tutto quello che abbiamo. Secondo me solo gli uomini di strada ritengono gli scienziati presuntuosi detentori di verità assolute.

    La scienza, infatti, si limita a dare definizioni operative: ad esempio il tempo è quella grandezza che si misura con gli orologi.
    È questa l'unica risposta che è in grado di dare alla domanda "Cos'è il tempo?".
    Mediante la scienza, che poi in ultima analisi rappresenta l'inteletto universale umano, non possiamo spingerci oltre.

    Però se vogliamo chiederci, dal punto di vista di essere umani, come utilizzare al meglio il tempo che abbiamo a disposizione, la scienza non sa dare risposte. La filosofia sì.
    La differenza che voglio evidenziare è questa. L'ho fatto evitando concetti astratti e portando un esempio concreto per semplificare il discorso, con l'intento di farmi capire meglio.

    Quindi, per rispondere alla seconda parte del tuo post, non si tratta di una differenziazione dogmatica (ma chi l'ha detto?), goliardate STEM eccettera.

    Si tratta, secondo il mio parere, di distinguere quelli che sono gli strumenti adatti ad affrontare determinati problemi.
    --- MODIFICA ---
    Io non lo vedo come un problema, ma un dato di fatto.
    E non credo ci sia bisogno di spingerci fino alla meccanica quantistica.

    Ad esempio: la geometria euclidea si basa su cinque assiomi. Un assioma non è un "atto di fede", ma un preposizione che in modo del tutto arbritrario si decide essere vera. Ad essere più precisi, Euclide definiva gli assiomi come concetti primitivi, innati.

    È stato anche dimostrato (negli anni Trenta) che un qualunque sistema assiomatico è incompleto, ovvero ci sarà sempre almeno un assioma che non può essere derivato dagli altri.

    Quindi cosa succede se un assioma lo tolgo e ce ne metto uno differente? Che posso elaborare le geometrie non euclidee. Esempio banale: un triangolo disegnato su una superficie piana possiede tre angoli interni (ovviamente) la cui somma è uguale a 180°. Se disegni un triangolo su di una superficie sferica, che succede? Che la somma degli angoli interni è maggiore di 180°.

    Ma noi viviamo su un pianeta che, in prima approsimazione, ha una superficie sferica. Quindi togliendo un assioma abbiamo perso qualcosa? Io dico di no: abbiamo elaborato un altro modello che ci permette di muoverci all'interno della realtà.
    E questo ritrova riscontro nel fatto che per trovare le rotte aeree più brevi si utilizza l'ortodromia.

    Ma se dovessimo costruire un edificio, avrebbe senso utilizzare l'ortodromia? No, perché puoi approssimare la sfera, su aree molto piccole, ad un piano. Anche se viviamo su un pianeta sferico. Quindi si opta per un modello diverso, che non descrive la realtà (e di questo ne siamo consci) ma permette di interagire con la realtà in modo perfettamente funzionale.

    Ci sarebbe da dire ancora di più: storicamente, ad un certo punto ci si è resi conto che la Terra non è una sfera. Facendo misure più accurate, si è osservato che la forma si avvicina a quella di un ellisse. Ma dopo misure ancora più accurante, ci è resi conto che la Terra non è stata disegnata da Dio, ma ha una forma tutta sua.

    Questo complica moltissimo il disegno delle carte geografiche. Per farla breve (perché purtroppo non ho tempo sufficiente a disposizione) riusciamo lo stesso a muoverci nonostante i vari modelli che utilizziamo per correggere le "distorsioni"

    Potrebbe essere una interpretazione della realtà non soddisfacente (appunto si chiama interpretazione) ma è quello che di meglio possiamo fare. E, soprattutto, sembra funzionare perché gli aerei volano percorrendo i tragitti più brevi, risparmiando carburante, e soprattutto arrivano a destinazione.

    Ho scritto di fretta, scusate se ho messo refusi e in alcuni parti la sintassi non è perfetta ma ripeto: purtropp il tempo è quello che è.
     
    Ultima modifica: 10 Aprile 2024
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  19. Varil

    Varil Galactic Guy

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    A livello meramente accademico (se così vogliamo definirlo) ho frequentato il liceo scientifico, poi ho frequentato il corso di medicina all'università (che ho poi mollato perché la mia pigrizia e depressione erano incompatibili con un percorso così devastante a livello psicologico per chi non abbia nervi d'acciaio, una passione spropositata o un'autostima e/o ego smisurati; inoltre uno studio così estremamente bovino e descrittivo poco mi si addiceva).
    Ma la stramaggioranza delle mie conoscenze è prettamente acquisita da autodidatta. Anche lo stesso inglese, lo padroneggio non certo per quello che ho imparato sui banchi di scuola. Stesso dicasi per l'italiano. E anche per molte altre conoscenze.
    --- MODIFICA ---
    Riassumendo, la scienza spiega il "come". La filosofia spiega il "perché" (o meglio, ci prova - l'interpretazione è una barriera insormontabile).
    La scienza usa modelli predittivi che hanno utilità pratica. Ma questi modelli sono anch'essi limitati, ed ecco che allora abbiamo inventato entità astratte (che in natura non esistono) come il concetto di casualità. In realtà semplicemente non possiamo prevedere l'evoluzione di un sistema (presunto) deterministico oltre un certo tot (altrimenti, per esempio, le previsioni meteo sarebbero accurate anche a distanza di anni - cosa impossibile). Questo perché ogni modello fisico è un modello ideale, virtualmente isolato. Tuttavia in natura non esistono sistemi isolati e la nostra comprensione non può essere così olistica da includere il Tutto in ogni particolare. Poiché di fatto, la natura delle cose è olistica e tutto interagisce con tutto. Come superare dunque questo problema, se so che un'onda quantistica partita da Andromeda potrebbe perturbare il mio sistema che sto analizzando?
     
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  20. bruco

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    Premesso che si fa tanto per chiacchierare, io sarei propenso ad affermare che la scienza descrive, non ha l'ambizione di spiegare quanto l'umilità di interpretare. L'unico linguaggio adeguato per descrivere ciò che osserviamo è quello matematico. Che però risulta inadatto, ad esempio, per descrivere un sentimento: per quello abbiamo bisogno della poesia, oppure della musica. O della filosofia.


    Per quanto riguarda la probabilità, che tu definisci un concetto astratto, mi viene im mente uno scambio epistolare tra Einstein e Bohr (il padre della relatività il primo, il padre della quantistica il secondo). Discutendo in merito alla probabilità, Einstein si espresse dicendo che "Dio non gioca a dadi", riferendosi a Dio come l'insieme delle legge fisiche che tengono insieme il nostro Universo.

    Questa sua frase è molto più famosa della risposta, che però è più corretta. Bohr gli rispose che "Non solo Dio gioca a dadi, ma bara pure".

    Questo per dire che la diatriba tra mondo deterministico e probabilistico è molto antica, e risale addirittura a Laplace, il quale sosteneva che era possibile elaborare un modello deterministico dell'Universo, ma che non era possibile stabilire le condizioni iniziali (starting points, in inglese, non ricordo come si dica in italiano). Temo di non ricordarmi benissimo questa storia, ma più o meno dovrebbe essere così.

    Ad esempio alcuni fisici sostengono che, stabilite alla perfezione le condizioni iniziali, è possibile determinare l'esito del lancio di una moneta (testa o croce). Alcuni invece sostengono che la probabilità è parte intrinseca della natura, e io sono più d'accordo con quest'ultimi. D'altra parte il crossing over genetico funziona proprio grazie alla casualità, è costruito appositamente dalla Natura (o da Dio, che dir si voglia) per essere casuale. L'evoluzione è pura causalità (a tal proposito, esiste un bellissimo libro di Dawkins, L'orologiaio cieco, che lo spiega in modo egregio). E l'evoluzione genetica si espande addirritura nell'IA, dove si utilizzano algoritmi genetici, proprio perché il risultato viene perfezionato in base al tasso di sopravvivenza dei risultati giusti o adeguati. Per non parlare dell'algoritmo di Montecarlo, che oggi viene utilizzato per ridurre ad un'unica soluzione i sistemi deterministici che ammettono più soluzioni. Sono cose complicate che avrrebbero bisogno di giorni per essere capite, mi rendo conto che arrivato a questo punto parlo a vanvera (però, ripetendomi, si fa per chiacchierare).

    Questa diatriba tra determinismo e probabilità è nata (immagino, non ne sono sicuro) quando ci si è imbattuti nel problema dei tre corpi. Prima di diventare una serie televisiva, era un problema che affliggeva molto i fisici perché rappresenta un sistema deterministico privo di soluzione analitica. In poche parole, non si può trovare una formula, bisogna affidarsi al brutale calcolo numerico punto per punto.

    Questa incapacità di determinare la posizione dei tre corpi in qualsiasi instante di tempo potrebbe generare sconforto e perdita di fiducia nella scienza. Però abbiamo inventato i computer, che possono risolvere i sistemi che non ammettono soluzioni analitica, quindi direi che l'ostacolo è stato aggirato. Nel libro omonimo, la soluzione viene trovata per l'appunto in questo modo. Si perde la bellezza formale, ma la previsione può essere comunque fatta.

    Ancora prima delle previsioni meteo, ancora prima della quantistica, abbiamo il pendolo. La descrizione del moto del pendolo non ha soluzione, quella che leggiamo sui libri di scuola è solo un'approssimazione. Il pendolo non è sincrono, e questi sono problemi antichi, molto antichi. Ma ora vado di fretta.

    E per quanto riguarda la teoria del caos, però, non saprei cosa dire di più, purtroppo non ne so molto
     
    Ultima modifica: 10 Aprile 2024
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