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L’orizzonte dei contenuti: scelta o convenienza? 2016-11-27T11:24:17+01:00
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    L’orizzonte dei contenuti: scelta o convenienza?

Nota bene: il lettore si accorgerà immediatamente che il seguente editoriale è frutto di considerazioni che solo in minima parte si fondano su fonti verificabili e oggettive. La volontà dell’autore è quella di sviluppare una profonda riflessione personale su taluni argomenti che negli anni passati e recenti sono stati affrontati in differenti tipologie argomentative ovvero: i grandi contenuti sono in grado di garantire il successo di un titolo appartenente ai giochi di ruolo?

La genesi del “ruolo” odierno

Sono esattamente passati nove anni dalla pubblicazione di un titolo che modificò pesantemente non solo la percezione e la fruizione di come doveva essere strutturato un qualsiasi RPG bensì anche i futuri contendenti della stragrande maggioranza degli altri generi videoludici di cui possiamo godere ogni anno tra alti e bassi. Nove anni sono decisamente tanti e ad essere sinceri, non basterebbero nemmeno dieci pagine dettagliate in maniera certosina per poter sviscerare ogni singolo punto di vista della questione inerente la nascita del come dev’essere un gioco di ruolo per avere successo ai giorni nostri. Il titolo che a mio avviso ha profondamente cambiato sia in bene che in male tale concezione è senza alcun dubbio quel famoso Oblivion che ha permesso di fatto alla Bethesda, di divenire quel colosso che ha avuto la capacità di espandersi sotto le attenti cure di Zenimax. 

Ma come è possibile che un singolo titolo abbia potuto influenzare un’intera generazione di giocatori? Considerando infatti la scomoda eredità lasciata da Morrowind, il passo più lungo della gamba era a portata di mano. E se crediamo, come è vero d’altronde, che in molti sono rimasti traditi dalle enormi mancanze del quarto titolo di una delle saghe più illustri di sempre, allora potremmo abbandonarci senza alcuna remore alla fatidica domanda del: com’è possibile che Oblivion sia riuscito a divenire un caposaldo del suo genere?

L’obbiettivo infatti è quello di ragionare su come e in che modo TES IV: Oblivion abbia modificato lo sviluppo di tutti gli RPG appartenenti alla classe degli open world. Bethesda è stata molto probabilmente la prima software house a comprendere le enormi potenzialità di profitto derivanti da una scelta del genere.

Se consideriamo l’enorme lista delle caratteristiche di un titolo del genere, i numeri non possono che sembrare favorevoli per Todd e soci. Il pargolo della scorsa decade ha infatti dalla sua parte: una mappa di gioco enorme a cui non si può dire di no se consideriamo la caratterizzazione di Cyrodiil dal punto di vista stilistico. Oltretutto non dimentichiamoci delle enormi quantità di personaggi presenti sino all’angolo più remoto del continente di gioco tra una città e l’altra. Che fossero caratterizzati come si deve non ha alcuna importanza. Su un centinaio e passa di Npc, molti se non la maggior parte, erano sicuramente poco degni di nota (basti pensare ai dialoghi inutili e superflui) tuttavia il numero fa la sua figura in termini di statistiche. Gli amanti delle gilde non propriamente legali trovarono il pane per i propri i denti.

La Confraternita Oscura e gli agili affiliati della Gilda dei Ladri hanno ben pochi eguali nel panorama del genere di fronte al fascino dell’approccio stealth (seppur carente e male implementato: ricordate l’onnipresenza delle guardie cittadine?) in salsa tridimensionale. Gli altezzosi elfi condivano infine un piatto già di per sé gustoso ed efficace. Il razzismo e l’incredibile supponenza di un’etnia da sempre avversa all’Impero, tematica presente anche in Skyrim, pone le sue basi all’interno di un mondo alla deriva ma pur sempre realistico (senza dimenticare i noti Dunmer di memoria morrowindiana).

Infine, missioni di ogni tipologia e vastità eroica: lunghe, corte, primarie o secondarie che fossero, incalzavano alla perfezione la vitalità di un’ambientazione viva e tangibile. Ma il pezzo davvero forte del piatto non è altri se non l’esplorazione libera accompagnata dalla felicità causata da possibili incontri fortuiti (con tanto di diari nascosti, ricette alchemiche impensabili, banditi, ecc.) Chi non si è mai fermato durante il proprio peregrinare in una delle tante fattorie vicine a laghi o fiumi appartenenti alla provincia imperiale di Cyrodiil?

Nove anni fa il nuovo titolo di casa Bethesda divenne pertanto un importante pilastro del come un RPG deve essere costruito ma sopratutto presentato affinché le masse possano dirsi soddisfatte. Non metto in dubbio il fatto che la maggior parte del suo successo fosse dovuto alla pubblicazione del titolo anche su piattaforme differenti da PC, questione che tutt’oggi permette ai più radicali di recitare il mantra del tradimento perpetrato alla memoria della saga. Che la semplificazione delle meccaniche per il popolo delle console abbia fornito la spinta necessaria alla consacrazione di Oblivion?

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Se Oblivion oltre alla quantità avesse decisamente puntato verso la qualità (qualcuno ha pensato al rapporto causa-effetto del tutto assente nel titolo Bethesda?) pur se a scapito di alcuni contenuti, oggi avremmo avuto l’esempio perfetto di come deve essere un RPG in grado di soddisfare sia gli amanti della libertà che gli amanti della scelta.

Secondo la mia modesta opinione non fu l’unica causa di un successo comunque meritato. Ma qualora dovesse essermi chiesto se apprezzo pienamente un titolo del genere o meno, la risposta non è di certo affermativa. Fu un notevole spreco di risorse e di opportunità. Quanto fatto in Morrowind sarebbe dovuto esser implementato e migliorato anziché esser messo da parte in favore della next-gen del periodo. Oblivion è stato ed è senza alcun dubbio un mostruoso titolo degno di essere amato e conservato nel cuore di ogni videogiocatore. Qualsiasi amante degli RPG non può non acquistare un diamante così grezzo ma se pensassimo ad esso come ad un imprescindibile pilastro della nostra storia nel panorama videoludico meriteremmo altri dieci titoli del genere. 

Ma come ogni bella favola di questo nostro meraviglioso mondo non tutto ciò che luccica è oro. Dopo il colpo vincente e geniale di Bethesda venne l’ora che anche il panorama europeo ambisse alla propria fetta di egemonia commerciale. Ed è proprio in questo caso che la delusione e la debacle di un Gothic 3 furono ancor più cocenti di un amaro tradimento da parte di padron TES. 

Vero e proprio coetaneo di Oblivion, il titolo di punta degli sviluppatori tedeschi doveva imprimere la svolta e la decisa risposta di un contendente che si era avvicinato alla filosofia di gioco di un esponente che aveva vinto la battaglia del nuovo secolo in quanto capostipite e riesumatore di quella libertà ambita dai più. La tecnologia permetteva da tempo un open world come si deve ma vogliamo mettere la grafica della next-gen con quella dei primi anni del ventunesimo secolo?

Purtroppo le aspettative non furono mantenute e se da un lato l’enorme offerta contenutistica di Myrtana poteva mandare in fibrillazione gli amanti dell’universo dell’eroe senza nome, in molti erano decisi a fare terra bruciata intorno al beniamino nato e cresciuto tra le lande teutoniche. Gli innumerevoli bug (Todd docet ndr), il senso di non rifinitura generale e l’idea di una corsa al tempo per non cedere lo scettro della vittoria ad un Oblivion feroce ed insaziabile, fecero dello scontro la pietra “quasi” tombale dell’ultimo capitolo di una saga differente ma altrettanto leggendaria.

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In buona sostanza non sono dell’idea che si possa definire il primo con il termine di capolavoro relegando il secondo in un angolo buio con l’etichetta “esperimento fallito”. L’obbiettivo era stato centrato da entrambi pur se con fortune alterne, almeno per quanto concerne il minimo sindacabile. La moda e la struttura dei grandi colossi forieri di contenuti era giunta infatti all’apice, anzi, potremmo dire che nel bene e nel male avevano mostrato al resto del mondo cosa fare e cosa non fare per avere successo negli open world.

La volontà di terze parti di seguire le orme e le insidie di progetti di così vasta portata alimentavano tuttavia non tanto il desiderio di fornire un servizio ai fan dei giochi di ruolo quanto la volontà di erigere imperi della finanza. L’ampio spettro dei guadagni totalizzati da Bethesda non poteva far altro che rinvigorire i sogni di merchandising dei PR e dei reparti di marketing di ogni azienda del globo.

Seguiamo la via maestra?

Possiamo pertanto, in breve, stilare una lista più o meno omogenea di titoli (in grassetto i titoli definiti dalla critica come “il pane quotidiano del compratore di RPG”) che nell’ultimo decennio hanno calcato il suolo degli open world e dei contenuti esageratamente grandi e dispendiosi.

NOTA BENE: la lista è certamente incompleta. Lo scopo è quello di raccogliere un campione di esempi più o meno rilevanti per il confronto delle meccaniche e dei contenuti tra alcuni dei titoli maggiormente interessanti.

 2006-2009  2009-2012  2012-2013
Fable 2 Alpha Protocol Baldur’s Gate EE
Fallout 3 Arcania: Gothic 4 Game of Thrones
Gothic 3 Dragon Age 2 Mass Effect 3
Mass Effect Fallout: NV Of Orcs and Men
Neverwinter Nights 2  Mass Effect 2  Risen 2: DW 
TES IV: Oblivion Risen  KoA: Reckoning 
The Witcher TES V: Skyrim   
Titan Quest The Witcher 2  

 

Ora, che la stampa specializzata abbia quasi un debole per l’elogio di coloro che sono definiti non a torto i big di settore, non vi è alcun dubbio. Questa precisazione non è fatta alla scopo di colpevolizzare coloro che arringano le folle con il fumo negli occhi per mezzo di recensioni last minute, quanto a denotare come la critica professionista e quella amatoriale non sempre coincidano. Che molti dei titoli qui sopra in vista siano dei capolavori è verità. Ma qual è stato lo slogan degli ultimi anni? Assieme ai voti di grande spessore abbiamo infatti anche il fattore marketing dalla nostra parte.

Qualora dovessero essere ravvisate delle difficoltà circa tale passaggio logico sarà sufficiente analizzare alcuni dei messaggi pubblicitari maggiormente utilizzati al fine di convincere il consumatore della bontà del prodotto. Un esempio abbastanza lampante è quello di seguito riportato (didascalia immagine). 

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“Skyrim reinventa e rivoluziona il fantasy epico, plasmando un mondo virtuale aperto e totalizzante, che potrai esplorare a tuo piacimento. La libertà di scelta, la profondità narrativa e l’avventura che hanno reso celebre The Elder Scrolls raggiungono nuove vette”.

Come si può notare nel testo sopra riportato, siamo posti di fronte al nuovo capostipite dell’open world nel vasto panorama dei giochi di ruolo. Un mondo che si regge in piedi da sé, talmente tanto libero da diventare il paradiso perfetto per ogni giocatore della prima e dell’ultima ora. Questa immagine appartiene ad un passato recente (2011) ma i proclami sono perfettamente in linea con quanto già venduto alle orde affamate di Oblivion (2006). Cinque anni non sono bastati a cancellare un monopolio divenuto tale sotto l’egida di Bethesda. Quei caratteri cubitali presenti in una copertina fanno la differenza. Non si tratta di un mero sfoggio di abilità e di maestria nel dispensare per ottimo un prodotto semplicemente godibile. Peccato che le mancanze del passato permangano in dieci anni di differenza, un’enormità che a mio avviso è inaccettabile, sopratutto in un campo che fa dello sviluppo videoludico (in ambito tecnico e non solo) la propria spina dorsale.

I giocatori sembrano comunque oramai lontani dai vecchi contenuti scialbi di un qualsiasi titolo con visuale isometrica (è solamente un piccolo esempio delle varie alternative). Non abbiamo più voglia di vedere e di esplorare con mente e mano quelle terre terribilmente rappresentate in due dimensioni e mezzo. Perché non tutti i mondi di gioco non si inchinano di fronte ad un corposo 3D alimentato dalla possente grafica e da qualche piccolo dialogo di qua e di là? Questa è la libertà che oramai vogliamo. Dateci l’open world e i contenuti mastodontici. Poco importa se la coerenza e la logica sono dettate da coloro che giocano anziché dal gioco vero e proprio!

Come se negli anni precedenti al ventunesimo millennio non fossero mai esistiti titoli in grado di competere e di surclassare per densità e raffinatezza di contenuti i nuovi e più giovani paladini dell’olimpo videoludico. Inutile fare qualche illustre nome no?

Scelte & Conseguenze

Qualunque giocatore si è trovato di fronte alla diatriba scatenata in seguito alla pubblicazione di Oblivion. Ed è mia intenzione illustrare quanto ebbi modo di provare sentimentalmente dopo aver giocato ad un titolo del genere. La mia intenzione tuttavia non è quella di dare o meno voce alle due diverse fazioni che tuttora non placano i propri animi al ricordo dei passati avvenimenti. Di fatto non ho mai voluto prendere posizione tra le due più conosciute ideologie ruolistiche del nostro secolo: i fedeli morrowindiani e gli eretici obliviani.

Quanto segue sarà la mia esperienza in merito, in maniera tale da offrire a chi legge la mia opinione sul come l’equazione “molti contenuti = piena riuscita del prodotto (perfezione)” non sempre possa dirsi vera. Potrei definirmi un appartenente alla via di mezzo.

“Di formazione piranhana (i Gothic resteranno sempre nel mio cuore) non potevo far altro che gioire di fronte all’annuncio di un nuovo titolo della serie TES. Avrei finalmente avuto l’opportunità di toccare con mano e in tutta calma uno degli RPG più attesi dalla pubblicazione del terzo capitolo. Il mio amore deriva da un Gothic II mai dimenticato, tuttavia si sa, la concorrenza colpisce sempre. E poi cosa avevo da perdere? Nello stesso periodo sarebbe uscito Gothic 3! Il giorno in cui giunse la pubblicazione vera e proprio del mio nuovo desiderio, decisi immediatamente che lo stesso avrebbe dovuto ottenere il posto che gli spettava nella mia libreria. Una volta acquistato rimasi impressionato non tanto dalla qualità e dai dettagli di uno dei titoli maggiormente curati all’epoca, quanto dalle infinite possibilità che offriva. Si trattava di una vera e propria esplosione di colori ed emozioni.

L’ampio spettro dei guadagni totalizzati da Bethesda non poteva far altro che rinvigorire i sogni di merchandising dei PR e dei reparti di marketing di ogni azienda del globo.

Tutto quello che avevo potuto vivere attraverso la piccola isola di Khorinis era qui amplificato all’inverosimile. Soddisfatto dall’opportunità colta al volo, aspettai con trepidante attesa il successore di questa grande impresa. Nel mentre non potevo far altro che spolpare Gothic 3, colui che avrebbe dovuto offrire solide certezze al pari del tanto acclamato Oblivion. Eppure non fummo (o non fui) fortunati. L’ombra dell’incertezza fece centro. Ogni segno scovato tra i meandri di Khorinis era svanito. La mappa e i contenuti non mancavano certo, ma la scelta e l’onere degli obblighi attribuili a seconda della fazione scelta per portare avanti la trama principale dove erano finite?

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Sarebbe bastato qualche accorgimento e un pizzico in meno di pazzia per dimostrare al mondo intero che la saga di Gothic non aveva bisogno di rincorrere quella di The Elder Scrolls. Purtroppo il confronto fu alquanto impietoso.

Si trattava a mio modo di vedere le cose (anche un poco ingenuamente) di un vero e proprio tradimento. Insomma, il sistema di fazioni che tanto mi era piaciuto in Gothic II era scomparso a favore del concetto di reputazione. Il che può essere semplificato con un: fai qualche favore qua e là e andrai avanti in un modo o nell’altro.

La presenza di taluni bug inoltre e l’ambientazione enorme ma un poco spoglia fecero spegnere in me ogni fiamma d’ardore positivo. Cosa rimaneva da fare? Avrei dovuto attendere Skyrim (pur continuando a giocare nel mentre ad altri esponenti del genere come ad esempio Fallout 3 e Neverwinter Nights 2) per poter nuovamente sorridere con una spada virtuale in mano.

Intervista dopo intervista, immagini e vari trailer giunse finalmente il fatidico 11/11/11. Tempo una settimana dopo e anche il sottoscritto poté prendere parte alla caccia dei draghi e a quanto si prospettava in una delle main mission più epiche degli ultimi RPG. Non nascondo la sorpresa che ebbi quando venni a conoscenza del fatto che era possibile inoltre scegliere se arruolarsi tra le fila dei ribelli o della legione. Pregustavo già quel sapore dolce che è comparabile alla goduria che si prova dopo un tipico momento di estasi e attesa.

Pensai a chissà quanti miglioramenti sarei incorso rispetto ad Oblivion e alle sue mancanze più o meno gravi. La realtà superò la fantasia e il sottoscritto rimase un poco deluso. La prima azione compiuta dal mio personaggio fu quella di recarsi alla ricerca del quartier generale della legione imperiale. Dovevo assolutamente porre rimedio a quanto non avevo ancora toccato con mano presso Morrowind. Inutile dire che, considerazioni a parte sulla vergognosa quest per il reclutamento, ogni sogno divenne un vero e proprio incubo.

A poche ore dall’ingresso tra le fila dei legionari, mi era concesso infatti di entrare a far parte delle fazioni più schifose e immorali di Skyrim. Nessun malus, nessuna condanna o espulsione dalla legione? E che cosa dire dell’avanzamento di carriera dovuto alla riuscita di ogni piccola missione e dal raggiungimento di ogni obbiettivo? Le guardie nemmeno in presenza della divisa appropriata comprendevano la differenza tra il rango di un umile soldato e quella di un semplice nonché inerme civile. Orrore puro e tristezza mista a rabbia. Cinque anni attesi per il nulla. Dove sono le scelte e le conseguenze?”

(lettera di un anonimo deluso)

Mi sono chiesto a che cosa servisse tutto quel ben di Dio se lo sfruttamento dei contenuti disponibili si limitava ad un approccio superficiale. Non credo di essere pazzo se pretendo o perlomeno richiedo una logica di base presente in un qualsiasi mondo che si reputi degno in quanto tale. Si tratta di una pretesa audace, richiedere un poco di coerenza tra una delle tematiche più importanti in un gioco di ruolo, ovvero le cause e gli effetti?

Per fare un parallelismo abbastanza banale ma efficace, è come se un mago avesse la possibilità di diventare un maestro delle arti arcane potenziando al contempo la propria abilità in ciascuna arma bianca conosciuta al mondo senza farsi mancare un eccellente scalata nelle arti dello scasso tanto per non farsi mancare niente.

Ed è proprio su questo punto che il mio stupore fece leva sino a rendermi conto del fatto che i modder rappresentavano e rappresentano tuttora uno dei maggiori successi per i titoli di mamma Bethesda. Todd e Peter vi daranno la base su cui costruire i vostri sogni, i fan faranno di questa base la realtà desiderata con tanti contenuti degni di questo nome. Perché? A voi l’ardua sentenza.

Fortunatamente non esistono solo casi eccezionali e altri totalmente mediocri. Così come Piranha Bytes e Bethesda hanno con il loro confronto, aperto un nuovo modo di condurre le trame e il gameplay del nostro genere preferito (pur con le lacune e i difetti ripetuti sempre nella medesima maniera e circostanza) anche altre software house possono definirsi indispensabili per un mercato che ha iniziato da pochi anni a questa parte a rinvigorirsi con ottime new entry e geniali idee di game design. 

Ma questa è un’altra storia, di cui parleremo un’altra volta.

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Gira di qui, gira di là, c'è sempre qualcosa da fare!

Un commento

  1. […] ma anche anteprime, recensioni ed editoriali volti a indagare a fondo la materia ruolistica (come questo, che parla del sistema di scelte e conseguenze negli RPG open world). Il tutto naturalmente […]

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