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Il bello della difficoltà 2016-11-27T11:24:56+01:00
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    Il bello della difficoltà

HARDCORE GAMERS

Sempre più spesso lo zoccolo duro dei videogiocatori, i cosiddetti hardcore gamers, si lamentano di un eccessivo calo della difficoltà nei titoli attuali, ritenuti troppo semplificati per rendere la vita facile al giocatore ed evitare così di scoraggiare le schiere di potenziali acquirenti che magari si terrebbero alla larga da un titolo troppo ostico.

Come dimostra il successo di Dark Souls, in arrivo anche su piattaforma PC, un gioco che fa della difficoltà degli scontri il suo punto di forza, e di mods come Deadly Dragons per Skyrim che aumenta di molto la pericolosità dei nemici nel gioco, un livello di sfida più elevato è ricercato da molti videogiocatori. È altrettanto vero però che un numero forse ancora maggiore non cercano una difficoltà esasperata, ma un gioco che scorre fluido dall’inizio alla fine, senza continui quicksave e quickload dovuti a premature dipartite o frustrazioni dovute a quel boss apparentemente imbattibile.

La sfida è così importante?

Ma la componente di sfida è davvero così importante al fine dell’esperienza di un videogioco e in particolare di un videogioco di ruolo? È innegabile che la soddisfazione che si prova dopo essere riusciti a sonfiggere un nemico particolarmente ostico o risolvere una quest difficile è superiore rispetto a quella che si prova ad abbattere un qualsiasi mostriciattolo in giro per il mondo di gioco, ma è davvero in questa difficoltà nello sconfiggere bestiacce che risiede il divertimento?

In un genere come gli RPG, dove senz’altro il combattimento riveste un ruolo di primaria importanza, ma dove gli aspetti più ‘letterari’ come la trama o l’ambientazione dovrebbero rivestire un’importanza almeno eguale se non superiore, il piacere di gioco potrebbe (e forse dovrebbe) provenire da altro che non dall’essere riusciti a sbudellare un ogre di sette metri. Certo, giochi come il già citato Dark Souls che fanno della difficoltà degli scontri parte integrante dell’atmosfera e cardine intorno al quale ruota l’intera esperienza videoludica hanno un loro perché e una difficoltà minore minerebbe l’intero impianto sia stilistico che di gameplay.

CONCLUSIONI

Personalmente ho sempre trovato molto più appagante trovare una soluzione ingegnosa ad una quest, o riuscire a convincere un personaggio compiendo determinate azioni di per sé magari non impegnative, ma che richiedono un certo ragionamento per poter essere intraprese, al pompare all’inversomile il mio personaggio per poi abbattere draghi a mani nude (che rimane un gran divertimento però). O ancora, in giochi come i JRPG dove trama e la sceneggiatura la fanno da padrone, l’interesse è davvero tutto nello sconfiggere il nemico più forte? O anche solo godersi la storia e l’intreccio dei personaggi e ammirare le ambientazioni può essere uno stimolo sufficiente a giocare, senza dover impazzire con decine di ore di farming? Lo stesso dicasi per free-roaming come Skyrim, una buona parte dell’esperienza è proprio il free-roaming, il girovagare per il mondo, scoprire nuovi luoghi e storie, oltre al combattimento fine a sé stesso.

Senza arrivare agli estremi di giochi d’essai come Dear Esther, dove addirittura l’interazione è limitata allo spostarsi e quindi la sfida è assolutamente nulla, possiamo ancora affermare che il piacere che si trae da un videogioco è dovuto esclusivamente al vincere una sfida, o almeno in alcuni casi c’è qualcosa di più?

Giocatore sin dai tempi in cui a stupire era la grafica di Alone in the Dark, tra un videogioco e l’altro si occupa delle recensioni su RPG Italia. Quando non gioca per piacere trova il modo di farlo per lavoro, insegnando storia del design con Assassin’s Creed II e cercando scuse accademiche per usare videogiochi un po’ ovunque, dagli ospedali alle università.