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L’Odissea di Black Isle, Troika e Obsidian: la nascita di un sogno chiamato Project Eternity 2016-11-27T11:24:55+01:00
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    L’Odissea di Black Isle, Troika e Obsidian: la nascita di un sogno chiamato Project Eternity

Correva l’anno…

Correva l’anno 1996 e mentre mezzo mondo si piegava a quella droga chiamata “Diablo” e si preparava alla venuta del primo Baldur’s Gate di BioWare, un giovane gruppo di sviluppatori, capitanato da Faergus Urquhart e Chris Avellone, fondava la leggendaria Black Isle Studios, sotto l’ala protettrice di una Interplay ormai divenuta uno dei capisaldi storici del genere RPG.
In quest’epoca vennero alla luce alcuni tra i migliori esponenti del genere, ma tra alcune figure storiche di Interplay e la nuova stella emergente Black Isle nacquero dei conflitti che si risolsero nell’abbandono di personaggi chiave come Tim Cain, Leonard Boyarsky e Jason D. Anderson. Nacque così Troika Games ed era il 1998. Gli anni passarono e sorsero ulteriori problemi sia per Black Isle che per Troika, ma ciò non impedì comunque di dar vita ad ulteriori perle leggendarie nel genere RPG.
Intanto il mercato stava cambiando e dall’oriente arrivò lo tsunami “Playstation”, che riuscì ad imporre uno sdoganamento globale a tutto il medium videoludico (che finalmente cominciò a scrollarsi di dosso l’epiteto di “giochi per bambini”), e si venne a creare un vero e proprio duello tra PC e Console. Ed i duelli, di solito, tendono a decretare un vincitore ed un vinto. Il secondo, in questo scenario, fu in parte il PC ed in parte il mercato dei Giochi di Ruolo digitali, che mai come nell’epoca Black Isle-Troika ebbe occasione di offrire perle di rara bellezza (Fallout 2, Planescape Torment, Arcanum, Baldur’s Gate 2, Deus Ex, ecc).
Fu proprio in questo scenario che si venne a creare un conflitto paradossale: pur dando vita ad RPG di altissimo livello qualitativo e storico, il mercato non rispose bene in termini di vendite e questo portò Black Isle prima, e Troika poi, a dover porre fine alla loro avventura nel mondo dei Giochi di Ruolo digitali.
Interplay decise di chiudere Black Isle nel 2003 e Troika morì pochi anni dopo nel 2005. Ma dalle loro ceneri, nello stesso 2003, si eresse come un’araba fenice una nuova software house: Obsidian Entertainment.

Dalle ceneri di Black Isle e Troika nasce Obsidian Entertainment.

Il passaggio fu comunque traumatico e diversi personaggi chiave decisero di intraprendere nuove strade e di abbandonare sia Black Isle che Troika (per poi ricongiungersi in parte nella stessa Obsidian). Nel frattempo vennero alla luce nuovi RPG ed altrettanti non riuscirono mai ad arrivare sui nostri scaffali, sintomo di come questo gruppo di sviluppatori sia sempre stato perseguitato da una presenza maligna: il conflitto tra la loro visione di RPG e quella dei publisher a cui erano obbligati a rivolgersi. Eppure questa brutta piega non nasceva solo ai tempi di Obsidian, ma ha radici ben più profonde. Infatti molti progetti vennero cancellati a causa di mancanza di fondi, mancanza di garanzie di introito, o di conflitti tra chi gestiva il progetto e chi avrebbe dovuto finanziarlo. Vittime illustri di questo conflitto furono:

  • Per Black Isle: Stonekeep 2, Torn, Fallout 3 (Van Buren), Baldur’s Gate 3 (The Black Hound), Baldur’s Gate Dark Alliance 3.
  • Per Troika: un misterioso “Post-Apocalyptic RPG”
  • Per Obsidian: Alien RPG, Project North Carolina e un misterioso progetto su The Wheel of Time in fase di stallo da mesi

Nessuno di questi progetti ha mai visto la luce e probabilmente mai la vedrà, anche se attualmente Obsidian è ancora in vita e continua a gestire i difficili e controversi rapporti con gli attuali publisher. A questo punto, e dopo questo breve ma doveroso excursus storico, la domanda sorge spontanea: c’è un reale problema di fondo nel rapporto tra idee che nascono da un sviluppatore e conseguente concretizzazione che richiede l’obbligo di doversi affidare ai finanziamenti di un grosso publisher?
Scopo di questo breve editoriale è proprio quello di cercare di rispondere umilmente a questi difficili e complessi quesiti.

Metacritic, Bethesda e New Vegas: un caso emblematico

Osservando la storia di questo gruppo di sviluppatori è ormai chiaro che uno dei loro principali problemi sia stato proprio il difficile rapporto con i publisher. Ma non va dimenticato che questo è frutto di tutta una serie di processi che ci concatenano tra loro: mancanza di fondi per concretizzare il loro potenziale, conseguente e continua ricerca di investitori e, soprattutto, basso “potere contrattuale” che scaturisce dal non essere mai riusciti a piazzare un numero sufficiente di copie sul mercato. Tutto ciò li ha portati a dover sottostare a determinate regole di marketing, regole che spesso non ti rendono “indipendente” e ti costringono a dover scendere a compromessi, pena una lunga serie di porte che si chiudono, una lunga serie di licenziamenti ed il solito declino già sperimentato dolorosamente in passato.
È in questo poco incoraggiante scenario che è doveroso citare un caso emblematico, utile a capire ulteriormente l’andazzo che governa l’attuale mercato dei videogiochi: il caso New Vegas e Metacritic. Due parole su Metacritic: il Male! Fine.
Ok, può sembrare un’iperbole esagerata ma non siamo tanto lontani dalla realtà se si conosce un minimo dei retroscena ambigui che da anni si susseguono dietro le quinte dell’industria videoludica. Certamente ogni male non nasce dal nulla e buona parte delle colpe va suddivisa tra stampa e siti specializzati, tra publisher e tipologie di contratti opinabili, oltre che tra gli utenti che continuano a foraggiare il sistema che è alla base di questo piccolo “scandalo”: i voti finali nelle recensioni. Metacritic, in fondo, si limita a raccogliere i voti di alcune riviste e siti, fare una media basata su criteri ancora oggi poco chiari, e tirare fuori una percentuale finale con cui indicare uno pseudo-valore relativo al giudizio del gioco (dividendo il voto dei professionisti da quello dei giocatori). Fin qui niente di strano, ma il vero problema sorge quando scopriamo che oggi i publisher sfruttano questo sito, il valore numerico che propone, ed il suo potere mediatico accumulato nell’industria per stilare apposite clausole in fase di contrattazione con gli sviluppatori. Ma andiamo con ordine.

Il crudele destino ha voluto che Obsidian non prendesse un bonus per il lavoro svolto con New Vegas…il destino sì, per chi ci crede ancora…

Tutto ebbe inizio quando Obsidian fu costretta a cancellare il progetto “Alien RPG” (un gioco di ruolo basato sul mondo della famosa saga cinematografica), cancellazione che portò a tutta una serie di licenziamenti e problematiche di gestione interna. Nello stesso periodo un altro progetto in cantiere subì tutta una serie di problematiche (che fecero allontanare un altro big come Brian Mitsoda): Alpha Protocol. Fu in questo scenario che Bethesda, sull’onda del mega successo commerciale di Fallout 3 (i cui diritti furono acquistati da quella stessa Interplay che diede vita a Black Isle), contattò i ragazzi di Obsidian e gli propose una collaborazione per dar vita ad una sorta di “spin-off” di Fallout 3: Fallout New Vegas. Obsidian accettò ed in poco meno di un anno e mezzo riuscì a dar vita a molte delle idee che furono sepolte ai tempi della cancellazione di Van Buren, rendendo anche New Vegas un successone commerciale (quasi 5 milioni di copie vendute). La community di fan, insieme a stampa e siti specializzati, cominciò a pensare che finalmente i succitati problemi di Urquhart e soci fossero stati superati. Ma ecco dove sorge lo scandalo.

Due parole su Metacritic: il Male.

In un pomeriggio qualunque del mese di Marzo 2012, su Twitter comparve una domanda rivolta a Chris Avellone, in seguito all’ennesima news che vedeva Obsidian costretta a dover licenziare altro personale. La domanda si riferiva al fatto che la gente non riuscisse a spiegarsi per quale motivo, dopo un successone commerciale del calibro di New Vegas, continuavano ad esserci licenziamenti. Avellone fece l’errore di dire pubblicamente che Obsidian avrebbe guadagnato un bonus economico per New Vegas solo a patto di ricevere una media voti di 85 su Metacritic, e fu con questa rivelazione che il “Vaso di Pandora” venne scoperchiato. New Vegas ricevette un voto finale di 84 su Metacritic e l’obiettivo del bonus non fu raggiunto per un solo punto percentuale. Dopo poche ore lo sviluppatore cancellò quel twit dalla sua home, probabilmente perché in un momento di nervosismo si dimenticò che quell’informazione (ancora soggetta al cosiddetto “NDA” – accordo di non divulgazione -) gli avrebbe potuto creare non pochi problemi col publisher di New Vegas (Bethesda). Ma ormai il vaso era stato aperto e fioccarono una marea di articoli sull’accaduto,  finché non venne reso pubblico un andazzo alquanto “malato” dell’attuale industria videoludica: molti contratti di lavoro tra sviluppatore e publisher vengono, di fatto, basati su alcune clausole legate proprio alla media voti ricevuta su Metacritic. Potrà sembrare ridicolo, ma è così.
Molti rimasero stupiti, altri svelarono di saperlo da anni e che la cosa fosse ormai assodata per moltissimi publisher, e tra rabbia e frustrazione, colpe e accuse velate, la community cominciò a capire il motivo per il quale un sito come Metacritic oggi fosse divenuto un punto di riferimento così importante nell’industria. Ed è proprio qui che si chiude un altro capitolo dell’Odissea di questo gruppo di sviluppatori e se ne apre un altro.

New Vegas ricevette un voto finale di 84 su Metacritic e l’obiettivo del bonus non fu raggiunto per un solo punto percentuale.

Kickstarter e la realizzazione di un sogno: Project Eternity!

Dopo gli eventi relativi al succitato “scandalo”, Obsidian non si fermò e si lanciò nello sviluppo di South Park (un RPG ambientato nel mondo della famosa serie animata americana). Ma qualcosa mancava, un qualcosa che da anni cercavano di realizzare ma che nessuno era mai stato disponibile a finanziare. Fu in quest’ottica che cominciarono a guardare con occhio interessato ad un nuovo movimento che stava nascendo “dal basso”: il Crowdfunding. Di questo movimento abbiamo già parlato un paio di volte qui su RPGItalia, quindi vi rimandiamo ai precedenti editoriali (qui e qui).
Ciò che rende interessante questo movimento è la nuova prospettiva che sembra offrire agli sviluppatori in preda a problemi simili a quelli analizzati nel caso in oggetto. Portali come Kickstarter negli ultimi mesi si sono rivelati delle vere e proprie rampe di lancio per progetti che nessun publisher era intenzionato a finanziare, e dopo il successone di Tim Schafer e quello di Brian Fargo, finalmente Obsidian, sotto incessante richiesta della community, si decide a fare il gran passo. E lo fa con grande stile.
Un countdown compare sul loro sito ufficiale ed alla sua scadenza viene rivelato il nuovo progetto presentato proprio attraverso la piattaforma di Kickstarter: Project Eternity. Il resto è storia.
In poco più di 24 ore racimolano la cifra richiesta (1,1 milioni di dollari) ed alla fine dell’appello il counter si ferma a quasi 4 milioni di dollari, che sommati alle cifre raccolte tramite Paypal raggiungono un totale di quasi 4,2 milioni (fissando un vero e proprio record per progetti relativi allo sviluppo di un videogame tramite crowdfunding).
Ce l’avevano fatta: avevano realizzato quello che molti publisher gli avevano impedito di realizzare, dimostrando che non servivano per forza 20-30 milioni di dollari per creare certi tipi di RPG e che esistevano ancora fette di mercato interessata ad essi.

Nessuno in casa Obsidian avrebbe mai potuto prevedere il successo mediatico ed economico di Project Eternity.

Date le dimensioni mediatiche ed il successo riscontrato, in casa Obsidian fu deciso di organizzare addirittura un party in live streaming, in cui se ne videro di tutti i colori. Chris Avellone che lanciava urli di giubilo a ripetizione e si abbandonava ad una sbronza memorabile, un paio di sviluppatori che si scatenavano nel famoso “shuffling” sotto il ritmo di “Party Rock Anthem”, un unicorno rosa che veniva lanciato continuamente nella stanza, la community maschile che in chat postava continui apprezzamenti sulla “Green Shirt Girl” (una delle sviluppatrici di Obsidian che durante il live indossava una maglietta verde), e le frasi finali con cui il party si è ufficialmente chiuso:

“…and yes: Avellone si drunk!” (cit. Faergus Urquhart)

Nemmeno loro si aspettavano un simile successo, eppure c’erano riusciti senza nemmeno puntare a chissà quale rivoluzione nel genere RPG o a chissà quale stravolgimento costosissimo. Non sono mancate nemmeno le polemiche, soprattutto da parte della nostra community italiana, che purtroppo si è vista esclusa dalle localizzazioni offerte ed attualmente non è ancora chiaro quale sia la decisione definitiva (non si esclude una sorpresa in fase di sviluppo, ma è tutto aleatorio per ora). Altre critiche sono giunte dall’aver esagerato con gli “Stretch Goal”, offrendo un numero di contenuti aggiuntivi a tratti esagerato e capace di far scaturire una serie di dubbi sulle tempistiche che dovranno rispettare in previsione della data d’uscita (Aprile 2014). Nonostante ciò, l’aspetto più affascinante di Project Eternity è stato il suo puntare nettamente sulle caratteristiche che hanno reso leggendari giochi come Fallout, Arcanum, Torment e Baldur’s Gate 2, riportando in voga il classico isometrico ed una filosofia “Old School” che da anni sembrava morta nel mainstream.

“Let’s get fucking hammered!!!” (cit. Chris Avellone)

Ma a questo punto bisogna porsi un paio di quesiti: perché nessun publisher vuole più finanziare RPG di questo tipo? E perché ora è tornata così di moda la filosofia “Old School RPG”, sulla quale anche Fargo ha puntato in pieno?
Dare una risposta non è facile, ma ci sono dei chiari segnali da tirare in ballo per meglio comprendere come si sia svolto tutto questo processo. Primo su tutti il già citato conflitto tra sviluppatori e publisher, conflitto che spesso non lascia alcuno spazio a progetti che non si rivolgono ad un ventaglio di potenziali acquirenti in grado di garantire milioni di copie piazzate. Un altro segnale è la lievitazione esponenziale che hanno subito i costi di sviluppo, e se in passato bastavano pochi milioni di dollari per produrre un cosiddetto “Tripla A”, oggi sembrano servirne da 15 ad anche 50 e oltre (per capire meglio l’attuale andazzo vi consigliamo la lettura di questo primo e secondo articolo di Swen Vincke dei Larian Studios). Infine vi è il malsano pensiero che oggi alcune tipologie di giochi non siano più “richieste” dalla community e dal mercato, e che investirci del denaro sopra non sia più redditizio (dimenticando, però, di calcolare che per alcuni progetti non servono affatto le mega spese richieste da un tripla A di oggi).

Perché ora è tornata così di moda la filosofia “Old School RPG”?

Mettiamo tutto questo in un calderone, mescoliamo per bene gli ingredienti, ed avremo uno spaccato abbastanza chiaro di come oggi funzioni l’industria videoludica, del fatturato che i publisher han bisogno di garantirsi per non andare in rosso, e di quanto sia difficile per uno sviluppatore trovare un investitore intento a dar vita a progetti che non seguano le mode del momento o che non garantiscano per forza milioni di copie vendute.
Se ancora avete dei dubbi magari le parole di un vecchio big dell’industria potranno chiarirvi ulteriormente le idee su come questo andazzo finora analizzato influisca negativamente sul lavoro di software house come Obsidian. Infatti non è un caso se anche Fargo si sia rivolto a Kickstarter per il ritorno del suo Wasteland ed abbia inaugurato la campagna “Kick It Fordward” (che abbiamo descritto nei già citati precedenti editoriali). E non contento ha dichiarato anche di volersi rivolgere di nuovo al crowdfunding, elogiandolo pubblicamente in una intervista su GameIndustry.
Insomma, siamo a tutti gli effetti di fronte ad un cambiamento ed uno scenario futuro che mai come oggi potrà rimescolare le carte in tavola, le regole ed il rapporto tra publisher, sviluppatore e community.

Uno dei primi Artwork mostrati e la tabella con il risultato finale della campagna su Kickstarter.

Considerazioni Finali

Da quando Tim Schafer ha reso Kickstarter una sorta di miniera d’oro per i developer in difficoltà, si è aperto un vero e proprio nuovo scenario, ma predire dove tutto questo ci potrà portare è ancora troppo azzardato. Sicuramente vedere dei big quali Fargo o Obsidian avvicinarsi con tanto entusiasmo al crowdfunding è un chiaro sintomo di come qualcosa non funzioni molto bene nell’industria odierna. Purtroppo lo strapotere dei publisher ormai detta legge e decreta quali siano i progetti che dovranno sopravvivere e quali quelli che dovranno soccombere schiantandosi di fronte ad una porta chiusa. E se finora quella porta non si era mai voluta aprire, nei mesi scorsi è stata letteralmente sfondata a calci (e quando diciamo “letteralmente a calci” ci riferiamo proprio a quel “KICK-starter” che ormai si sta imponendo con un certo successo mediatico).
Come abbiamo già spiegato nei precedenti editoriali non siamo certo arrivati al punto tale da poter affermare che questa sia un’alternativa definitiva ai publisher, perché seppur ci siano un sacco di pro non bisogna dimenticarsi nemmeno dei contro e delle piccole cifre che per adesso si riescono a racimolare tramite crowdfunding. Inoltre la community non si fida ancora del tutto di questo nuovo metodo di finanziamento “dal basso”, dove siamo noi acquirenti a decidere quanto spendere ed a chi donare i nostri risparmi. Ma i segnali per una crescita ulteriore ci sono tutti e qualche publisher sta già cominciando a tremare alla sola idea che in futuro i loro investimenti rischino di non avere più un peso specifico così preponderante nello sviluppo di alcuni tipi di videogiochi.

Vedere dei big quali Brian Fargo e Chris Avellone avvicinarsi con tanto entusiasmo al crowdfunding è un chiaro sintomo di corto circuito nell’industria odierna.

Alla fine della fiera quello che possiamo augurarci è che tutto questo non dia vita ad un ennesimo scontro violento tra “indipendenza” e “dipendenza”. Possiamo augurarci che un domani si possa trovar spazio per idee e progetti “minori” anche nel mainstrem, o che magari cambi l’assetto interno di molte software house, ispirandosi ad esempi quali CD Projekt Red o Larian (entrambi muniti di un proprio store digitale con cui crearsi fette di guadagno non dipendenti da rapporti con publisher esterni). Possiamo augurarci che il rapporto tra costi di produzione e garanzie di ritorno economico diventi più bilanciato e non causa principale della morte di progetti potenzialmente interessanti. E magari, passo dopo passo, possiamo augurarci addirittura che si arrivi a detronizzare siti come Metacritic e sfatare la malsana idea che un voto numerico valga più di una dettagliata recensione, rendendo meno ambigui i contratti tra publisher e developer.
Sarà solo a quel punto che l’attuale industria videoludica potrà affermare con soddisfazione di essere stata in grado di compiere due grossi “level up” verso un futuro più roseo e dignitoso, soprattutto per chi ambisce a svolgere il lavoro di sviluppatore. E una cosa non andrà mai dimenticata: non sono i soldi che costa un progetto, o la sua media di Metacritic, a rendere meritevole un videogioco, ma l’impegno, la creatività, il genio ed il talento delle persone che ci lavorano dietro.

Webdesigner e grafico per hobby, troll di professione. Gli è apparso in sogno il suo unico Dio (Chris Avellone) e da quel giorno pensa di essere il suo araldo. Se ne va in giro per forum e social network a predicare il “Verbo del Sacro Ruolismo” e portare un barlume di speranza nei luoghi in cui Bioware e Bethesda hanno lasciato solo macerie.