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La (poca) violenza nei videogiochi 2016-11-27T11:24:59+01:00

di GABRIELE “MESENZIO” ARONI 

Di solito quando si parla di violenza nei videogiochi si tende a sottolineare l’eccessiva presenza di quest’ultima, valutandola sempre come negativa e fine a sé stessa, in special modo dalla stampa generalista. E’ senz’altro vero che un uso fine a sé stesso del gore e di scene e comportamenti violenti all’interno di un gioco possono essere inappropriati o poco influenti ai fini del gameplay e dell’esperienza e piazzati lì proprio per il loro effetto sensazionalista.

Il sempre maggior realismo dei videogiochi, specialmente nella grafica, ma anche nelle meccaniche di gioco, ha reso sempre più simili alle esperienze reali quelle ricreate nel mondo virtuale, in special modo se queste fanno riferimento a fatti e luoghi realmente esistenti. Ovviamente la violenza in un Gears of War o in un Final Fantasy, dove i nemici sono mostri partoriti dalla fantasia dei characters designers, e le ambientazioni inventate, è molto più teatrale e scorrelata dal mondo reale di quella, ad esempio, di uno sparatutto militare.
Trattare alla stregua di un ragno gigante o di un mostro insettoide, quello che è un essere umano, o almeno la rappresentazione virtuale di un essere umano, che cerca di simulare il suo comportamento e che esegue azioni assimilabili alla sua controparte reale, è, a mio pare, un altro paio di maniche. Inoltre la rappresentazione spettacolarizzata e cinematografica della guerra, che vediamo in giochi come Call of Duty o Medal of Honor, complice la loro minuziosa ricostruzione di armi, ambienti e tattiche, porta ad un distorcimento notevole della realtà dei fatti.

La famigerata missione "No Russian" di Modern Warfare 2, bandita in Russia.

La morte e la violenza rappresentata in questo genere di giochi, è una cosa pulita, in genere senza sofferenza, con meno sangue possibile, per non urtare la sensibilità dei benpensanti, quando invece una rappresentazione brutale e veramente realistica di un campo di battaglia dovrebbe contenere, oltre alla perfetta rappresentazione poligonale di un M16, anche la rappresentazione degli smembramenti, delle urla e delle interiora che colpire un essere umano con un’arma da fuoco comporta. Inoltre in qualsiasi gioco di guerra i civili non sono presenti, in quanto evidentemente uccidere civili in un gioco è una cosa sbagliata, mentre è solo un “danno collaterale” nella realtà.

Leggendo articoli come quello comparso sul Washington Post anni orsono si capisce come la rappresentazione bellica eviscerata della violenza nuda e cruda, che ne è una componente essenziale e fondamentalmente rappresentativa, distorce la visione di quello che è realmente anche a chi poi si troverà a dover affrontare di persona quella situazione, così come succedeva decenni fa ai soldati che si apprestavano a partire per la guerra del Vietnam e di colpo scoprivano che essere colpiti da un calibro .50 nello stomaco non fa versare solo due gocce di sangue come agli eroi del cinema.

Glorious Mission, FPS sviluppato dalle forze armate cinesi.

Con questo, ovviamente lungi da me l’idea di sostenere la presenza di violenza gratuita e scene splatter per il semplice gusto di farlo, ma ritengo che sarebbe perlomeno coerente fare una rappresentazione completa di una certa situazione, e che nascondersi dietro ad un dito dicendo che “è solo un gioco”, è una scusa che non è assolutamente valida, si tratta di una forma di intrattenimento estremamente coinvolgente, forse la più coinvolgente in assoluto, giocata da milioni di persone per molte ore. Nessuno si sognerebbe di dire “è solo un libro” o “è solo un film”, quando questi diventano strumenti di propaganda. Non a caso la recente reazione dell’Iran al lancio di Battlefield 3, che mostra un’invasione di Teheran da parte delle truppe statunitensi, che ha bandito la vendita del gioco e si prepara a rispondere sullo stesso campo, con uno sparatutto dove i marines saranno i “cattivi” (per quanto già Glorious Mission, sviluppato dall’armata cinese, ci mostri l’altra parte della barricata).

Certo, se le guerre si spostassero in toto nel mondo virtuale sarebbe decisamente un bel passo in avanti.

 

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Giocatore sin dai tempi in cui a stupire era la grafica di Alone in the Dark, tra un videogioco e l’altro si occupa delle recensioni su RPG Italia. Quando non gioca per piacere trova il modo di farlo per lavoro, insegnando storia del design con Assassin’s Creed II e cercando scuse accademiche per usare videogiochi un po’ ovunque, dagli ospedali alle università.